Quell’internazionale antiamericana che unisce WikiLeaks al Cremlino

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Lo schieramento che ha preso le difese — per ora — di Edward Snowden, l’ex dipendente della Nsa che ha svelato tanti segreti dell’agenzia di spionaggio elettronico, ha messo insieme Paesi che si ritrovano quando c’è l’America di mezzo. Ognuno per i suoi motivi.

La Russia è la rivale storica. Passano i decenni ma lo scontro resta. Battaglie grandi e piccole. Dal Medio Oriente all’Europa, come la crisi siriana ha enfatizzato. Ruggini vecchie aggravate da nuovi contrasti, talvolta marginali ma che toccano il prestigio imperiale. Raccontano che i russi non abbiano dimenticato come la Dea americana abbia incastrato a Bangkok Victor Bout, il signore delle armi tanto caro al Cremlino. Oggi il trafficante è in una prigione Usa, nonostante le mosse di Mosca. E adesso che Washington chiede ai russi la consegna di Snowden loro tergiversano, giocano beffardi con le parole: «Non abbiamo alcuna autorità per farlo». Parole affidate a media dai nomi che evocano altri confronti, quando la Russia era l’Urss. Izvestia , Tass , Interfax sono le principali fonti. Negli Usa c’è chi spera in un ripensamento all’ultimo istante di Vladimir Putin per riparare quel «dito infilato nell’occhio» della Casa Bianca. Mai dire mai. Ogni cosa ha un prezzo.

Nessuna speranza per i cinesi, furbi e pazienti. Accusati da anni di rubare segreti negli Usa, si sono presi la rivincita ospitando, nella dependance di Hong Kong, la super talpa Snowden. Che gli ha portato un regalo: la notizia che l’Nsa sorveglia milioni di telefonini in Cina. Vendetta sublime per la Città proibita. Con il tecnico americano a fare da cortina fumogena. E i cinesi, anche se defilati, nel corteo che grida «giù le mani da Snowden».

Si trovano perfettamente a loro agio in questa situazione cubani e ecuadoregni. L’Avana, che pur sbatte in prigione chi dissente, è stata citata come possibile punto di passaggio per il fuggiasco della Nsa. Sorprende? Per nulla. L’animosità con gli Stati Uniti, dopo anni di embargo contro l’isola, manovre clandestine e spionaggio, è forte. Certo, gli eredi di Fidel hanno un mare di problemi da risolvere, però fare un dispetto ai «gringos» costerebbe poco. E al pari di altri regimi restituisce lo spazio dato in America a chi contesta Fidel. Non ha la storia del castrismo ma si è ritagliato un suo spazio l’Ecuador del presidente Correa. Ha chiuso una base statunitense, ha litigato di brutto con Washington e ospita nella sua ambasciata a Londra il fondatore di WikiLeaks, Julian Assange. Operazione che è pronto a ripetere con Snowden. Gesto di solidarietà con il quale spera anche di far dimenticare il bavaglio alla stampa non amica. Domenica sembrava cosa fatta, ieri un po’ meno. Tatticismi di governi dal passato e presente pesante.

La Casa Bianca lo rinfaccia ai rivoluzionari del Web, uomini e donne di WikiLeaks: «Come potete mettervi nelle mani di regimi illiberali?». Per chi ha scelto questo lato della barricata adesso ciò che conta è tenere lontane le antenne del Grande Fratello statunitense. E dunque se lo scudo di Edward Snowden è un po’ sporco non conta, anche se alla lunga potrebbe pesare. Amicizie ingombranti. Ecco perché la soluzione Islanda sarebbe la migliore. Piccolo Paese che non crea fastidi, fuori dai giochi. Però c’è un’altra ragione per trovare un rifugio in uno S tato neutrale. I membri della nuova Internazionale sono avversari tenaci dell’America, ma anche pragmatici. E per risolvere qualcuno dei loro tanti problemi, potrebbero rimangiarsi la parola data ad un ospite.

Guido Olimpio


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