Tensioni sul decreto carceri, firma solo Cancellieri

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ROMA — Doveva essere un decreto a doppia firma, ministro della Giustizia e ministro dell’Interno, Anna Maria Cancellieri e Angelino Alfano, che incidentalmente è anche vicepresidente del Consiglio, ex Guardasigilli nonché segretario del Pdl. Invece no.

A meno di ulteriori e a questo punto clamorosi slittamenti degli ultimi minuti, stamane al Consiglio dei ministri arriverà un provvedimento proposto dalla sola Cancellieri: misure urgenti per fronteggiare l’emergenza carceraria. Tutta la parte sulla sicurezza e altri aspetti di competenza del Viminale resta fuori, stralciata in vista di un nuovo appuntamento governativo. E chissà se nella decisione di non sottoscrivere, in questo momento, un testo insieme alla collega di via Arenula, per Alfano abbia contato più la carica di ministro o una delle altre.

La coincidenza tra il decreto dimezzato (con relativo sgravio di responsabilità da parte del vicepremier) e le polemiche seguite alla nuova sentenza di condanna per Silvio Berlusconi è sotto gli occhi di chiunque. Con tutto il suo significato, quantomeno simbolico e evocativo. Dietro queste decisioni si trovano sempre giustificazioni tecniche: problemi giuridici ancora irrisolti, testi da limare e via di seguito. Ma al di là delle versioni ufficiali, mai come in questo caso risalta una sola realtà: Alfano si sfila dal primo intervento governativo di peso in materia di giustizia, anche se su un aspetto specifico come il problema del sovraffollamento delle prigioni. Ed è inevitabile immaginare che le fibrillazioni seguite alla sentenza di Milano abbiano pesato sulla scelta. Magari per dare un segnale concreto che il governo può pure reggere, ma non si pensi che il percorso che ha davanti non sia segnato da quel che accade nei tribunali. Tanto più quando s’interviene sul terreno minato che compete al Guardasigilli.

Di fronte alle reazioni scandalizzate del centrodestra per il verdetto sul caso Ruby, il ministro Cancellieri ha rispettato la regola del silenzio. Nessun commento, né sulla condanna né sul putiferio politico che ne è seguito. Nemmeno per dire delle ovvietà che in un momento come questo chissà come sarebbero lette: per esempio che se un imputato si ritiene innocente è normale che consideri ingiusta la condanna; meno normale è considerare ingiusta e «politicizzata» una sentenza (e tutto il resto degli improperi lanciati ai giudici) solo perché non è andata nel verso sperato, pena la perdita di credibilità dell’intero sistema giudiziario.

Stavolta Anna Maria Cancellieri non ha ribadito nemmeno il tradizionale rispetto per l’autonomia della magistratura; non perché non lo consideri scontato, anzi, ma per evitare che anche la più semplice delle considerazioni potesse essere strumentalizzata. Soprattutto alla vigilia del tanto annunciato decreto-carceri, che dopo il via libera del Consiglio dei ministri dovrà affrontare un non semplice cammino parlamentare. Del quale qualcuno potrebbe approfittare per tentare di inserire o togliere eventuali norme considerate a favore o contro l’imputato Berlusconi, con tutto ciò che ne conseguirebbe.

Molti esponenti del Pdl hanno colto l’occasione della nuova condanna dell’ex premier per tornare a chiedere riforme radicali sulla giustizia, rimaste rigorosamente fuori dal programma del governo Letta, ché altrimenti difficilmente sarebbe nato. D’altronde, se ci fosse stata l’intenzione di mettere mano a temi che dividono destra e sinistra da oltre vent’anni, al dicastero di via Arenula non sarebbe stato chiamato un tecnico di tutt’altra materia come l’ex prefetto Cancellieri. Scelta per gestire nella maniera più indolore possibile l’ordinaria amministrazione, e risolvere singole emergenze. Come quella delle prigioni troppo piene, per l’appunto. Senza alimentare ulteriori tensioni, che interventi più incisivi o «di sistema» finirebbero inevitabilmente per provocare; bastano quelle provocate dagli appuntamenti giudiziari dell’ex premier, che non sono ancora finiti.

Giovanni Bianconi


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