Eredità di Agnelli, il giudice archivia le accuse a Margherita

by Sergio Segio | 4 Luglio 2013 7:25

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e a giustificare la convinzione di Margherita Agnelli dell’esistenza di “patti” diretti a marginalizzarla nella divisione successoria poi sfociata nell’accordo del 2004»: con questa motivazione la giudice Cristina Mannocci ha archiviato la selva di denunce e controdenunce scaturita dalla divisione dell’eredità di Agnelli (morto il 24 gennaio 2003) con la rinuncia nel 2004 della figlia Margherita alle partecipazioni nelle società di famiglia in cambio di 1 miliardo e 166 milioni di euro tra cash e immobili e opere d’arte.
Di questo accordo Margherita Agnelli nel 2007 impugna la validità, tacciando tre storici collaboratori di suo padre (Franzo Grande Stevens, Gianluigi Gabetti, Siegfried Maron) di voler — scrive il giudice — «privilegiare il ruolo di suo figlio John Elkann, nonché tenerle celato un immenso patrimonio offshore accumulato e nascosto negli anni dal padre»: ma Tribunale e Corte d’Appello di Torino bocciano la sua azione nel 2010 e 2012. A Milano, intanto, il suo ex avvocato Gamna da un lato incassa una pena per aver evaso 13 dei 15 milioni di parcella («singolarmente pagata dalla controparte» benché per attività nell’interesse di Margherita), e dall’altro lato la accusa di aver tentato di ricattarlo se il legale non avesse deposto a suo favore a Torino. Ma Margherita, ravvisa ora il giudice Mannocci, «non ha perseguito un intento estorsivo» ma «semplicemente una legittima pretesa alla ostensione completa del patrimonio paterno».
E qui il giudice richiama due punti della richiesta di archiviazione dei pm Fusco e Ruta. Il primo è Paolo Revelli, ex manager di Morgan Stanley, che «afferma d’aver sempre saputo che nella filiale di Zurigo esisteva una provvista direttamente riferibile a Giovanni Agnelli tra gli 800 milioni e il miliardo di euro, fiduciariamente detenuta attraverso molteplici conti da Maron». Il secondo è il sequestro di «un regolamento supplementare dello statuto della Fondazione Alkyone a Vaduz, recante i nominativi dei suoi Protectors, Giovanni Agnelli, Gabetti, Grande Stevens e Maron»: è «alla struttura e alla composizione dei trust nel tempo confluiti in questa Fondazione che John Elkann avrebbe fatto riferimento asserendo testualmente, come riferito da Gamna, “non vi daremo mai quelle società e i loro conti perché voi non dovete vedere le operazioni che vi sono passate”». Anche «i tentativi di fare luce su queste entità e sui soggetti che le avevano mosse sono stati vanificati, in Liechtenstein come in Svizzera, dalla mancata collaborazione della locale autorità giudiziaria». E le rogatorie «sono state respinte sulla base dell’assunto, non del tutto condividibile, che avessero esclusive finalità fiscali».

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