Assalto nella caserma di Morsi l’esercito spara sulla folla più di 50 morti

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IL CAIRO — I corpi di Ezzat, Hassan, Khairat, insieme a un’altra decina sono stesi in terra e coperti in qualche modo da una bandiera egiziana lurida e insanguinata in una sala a fianco a quella principale della preghiera nella moschea Rabaa al Adawiya, il “Fort Alamo” della Fratellanza musulmana nella sua rivolta contro il colpo di mano che mercoledì scorso ha rovesciato il “loro” presidente. Un odore di sangue, morte e disinfettante, diffonde i suoi effluvi in un caldo che si fa soffocante e in un grande caos umano: una cinquantina di feriti sono trattati dai medici volontari della Fratellanza, altri più gravi sono trasportati a braccia verso le ambulanze. Sono parte delle 54 vittime e degli oltre seicento feriti nella battaglia dell’alba davanti al Quartier Generale della Guardia Repubblicana che si è risolta in una strage.
«Siamo stati attaccati, siamo stati attaccati», ripetono come un mantra i portavoce della Fratellanza presenti qui al presidio di Nasr City, dove qualche decine di migliaia di aderenti alla Confraternita ha messo il suo sit-in permanente mentre si moltiplicano gli appelli alla rivolta contro questo «massacro di innocenti». Gehad el-Haddad, portavoce della Fratellanza, fa strada dentro la moschea. Sciorina un bilancio drammatico: 77 morti, fra loro cinque donne e tre bambini. L’esercito, che mercoledì scorso davanti a milioni di egiziani si è fatto garante di una transizione democratica, avrebbe commesso un massacro di civili innocenti durante la “al Fajr”, la prima preghiera del mattino.
Una versione che regge solo un paio d’ore e si rivela una poco abile operazione di propaganda, gli ospedali confermano invece che fra le 54 vittime non ci sono né donne né bambini, le foto postate sulla pagina Facebook della Fratellanza sono di ragazzini morti in Siria: tutte le vittime sono uomini, fra i 25 e i 50 anni. Più realmente, approfittando dell’ora della preghiera circa duemila militanti della Confraternita si sono staccati dalla Piazza antistante la Moschea Rabaa al Adawiya e a quasi due chilometri di distanza hanno cercato di attaccare la caserma della Guardia Repubblicana armati di spranghe, bottiglie molotov, pistole e mitragliette per cercare di liberare il “loro” presidente agli arresti dal 2 luglio. I militari della Guardia con il casco rosso con i loro blindati e la polizia antisommossa schierata attorno, non si sono fatti sorprendere e ne è nata una sparatoria andata avanti più di ora: due soldati e un poliziotto vengono uccisi nell’assalto e 40 restano feriti. Una versione confermata anche dalle
decine di video amatoriali girati dalla gente dai balconi dei palazzi circostanti, le loro testimonianze concordano: sono stati i duri della Confraternita ad attaccare. I militari dicono di aver arrestato circa 200 persone armate di molotov, armi da taglio e da fuoco.
La macchina della propaganda della Fratellanza non si è però fermata, ci sono “i martiri”, il golpe dei militari che ha cancellato la vittoria, ci sono tutti gli elementi destinati a far esplodere la tensione per le strade d’Egitto e per lanciare un appello alla rivolta, alla «sollevazione popolare». Incuranti dell’ultimatum dei militari — “sgombrate strade e piazze” — la Fratellanza musulmana è convinta di giocare ore decisive per la sua sopravvivenza politica e sembra non accorgersi dello spettro siriano che aleggia sull’Egitto. Circolano troppe armi fra i suoi seguaci. Nella sede di via Mansour — diventato il comando dopo la sede bruciata l’altra settimana a Moqattam — durante una perquisizione ieri mattina è saltata fuori una santabarbara di mitra, pistole, munizioni, il necessario per fabbricare bombe molotov.
Il massacro di Nasr City è stata una doccia gelata per il neo presidente Adly Mansour e gli altri leader dell’opposizione riuniti nel palazzo di Heliopolis nel tentativo di dare un premier e un governo all’Egitto il prima possibile. Fra i primi a chiedere un’inchiesta indipendente sull’accaduto Mohammed El Baradei che è stato “quasi” premier per un giorno prima farsi da parte per il veto posto da Al Nour, il partito salafita — nemico della Fratellanza — che si è schierato contro Morsi e a favore della “roadmap” proposta dai militari per uscire dalla crisi attuale e portare il Paese verso nuove elezioni. I salafiti hanno bruciato anche il nome di Ziad Bahaa El-Din, leader socialdemocratico e presidente della Consob egiziana, prima di decidere di ritirarsi dalla trattativa per la strage di ieri mattina. La loro assenza dal tavolo complica molto i tentativi di formare il governo. Mi-litari, partiti laici e progressisti intendevano includere nel governo i salafiti per creare un esecutivo che, senza la Fratellanza, avesse comunque al suo interno una forte componente islamica in nome di quel “dialogo nazionale” da tutti invocato. Anche dall’estero. Ieri sera gli Stati Uniti — in grave imbarazzo dal divenire degli eventi dell’ultima settimana — ha invitato le Forze armate alla «massima moderazione» nella gestione dell’ordine pubblico. La Casa Bianca ha esplicitamente chiesto di evitare rappresaglie, arresti di massa e la chiusura di media, come accaduto subito dopo quello che a Washington comunque non vogliono definire un “golpe militare” per non essere costretti a tagliare gli aiuti militari e umanitari. Ma ha anche condannato l’appello alla rivolta lanciato dalla Fratellanza musulmana.


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