Letta, faccia a faccia con Napolitano «Si va avanti con determinazione»

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ROMA — «Andiamo avanti, con forte determinazione». Quando scende dal Quirinale Enrico Letta appare rassicurato. Il colloquio con Napolitano lo ha convinto che la linea è l’unica possibile, il presidente del Consiglio tirerà dritto mostrando di non curarsi troppo del caos che si è scatenato in Parlamento. Continuerà «a lavorare per gli italiani» a testa bassa, ostentando (per quanto possibile) una calma olimpica.

Ma il volto sorridente del premier non rivela il travaglio di queste ore, le più difficili da quando si è messo al timone della caravella delle larghe intese. Salire al Colle al culmine di una giornata drammatica – e comunicare l’incontro – serve a ricordare ai compagni di avventura che l’esecutivo è nato sotto lo scudo di Napolitano. Un chiaro monito al partito di Berlusconi, al quale Letta, tramite Dario Franceschini, ha fatto recapitare un messaggio ultimativo: «Io comprendo che per il Pdl è il momento più difficile e ho rispetto pieno per le vostre difficoltà, ma se parliamo di Aventino sono io che non ci sto». Letta lo disse sin dal primo giorno che non avrebbe fatto «il premier a tutti i costi» e ieri, pur senza drammatizzare, ha ribadito il concetto. «Possiamo navigare anche in acque molto agitate – è lo stato d’animo del premier – ma se cominciamo con le derive aventiniane finiremo per andare oltre la nostra capacità di tenuta. Per portare avanti il governo ci devono essere le condizioni minime». All’ora di pranzo il tam tam convulso di Montecitorio diffonde la voce di un incontro con Berlusconi, ma la notizia non trova conferme. Più probabile che i due si siano confrontati al telefono: cosa che Palazzo Chigi non accredita, ma neppure smentisce.

La navigazione è tempestosa e Letta ha una sola bussola, quella delle riforme. Se Berlusconi sarà condannato, la sabbia nella clessidra potrebbe finire in fretta. Per questo Letta ha urgenza di portare a casa un provvedimento via l’altro. Anche a colpi di decreti. Le priorità? Un «piano d’attacco» contro la disoccupazione, che ha come «faro» la riduzione del cuneo fiscale.

Al mattino il risveglio è convulso. Renato Brunetta minaccia di staccare la spina se non verranno concessi i tre giorni di sospensione. L’aria è una corda d’acciaio, ma Franceschini si concede una battuta: «Vado all’ultima capigruppo…». Il ministro per i Rapporti con il Parlamento fa la spola da un palazzo all’altro tessendo la tela della mediazione. Va a Palazzo Chigi e con Letta concorda di correre al Senato per parlare con Renato Schifani, intuizione che si rivelerà giusta. Il vertice sui temi economici fissato per le due salta, ma il question time delle tre si tiene regolarmente. Per la prima volta dai tempi di Prodi un premier torna a rispondere di persona al Parlamento, che nel clima di queste ore è un po’ come infilare la testa nella gabbia dei leoni. «Alle 15, dopo 6 anni che non si svolgeva, rilancio lo strumento di trasparenza e partecipazione del Question Time col Premier» annota Letta su Twitter. Arriva puntuale, si siede al suo scranno con le mani in tasca e l’espressione rilassata, scherza con Franceschini e poi si volta a parlare con una Giorgia Meloni in rosso, che gli annuncia l‘interrogazione sui due marò accusati di omicidio in India. Quando capisce che la leader di Fratelli d’Italia picchierà duro, le chiede di non esagerare.

L’Aula è irrequieta. I pidiellini non applaudono mai, i grillini gridano, si alzano, compulsano nervosamente i palmari. Letta invece è impassibile, incassa con la stessa espressione i complimenti dei democratici e i «non ci ha convinto» delle opposizioni. Sel incalza sugli sbarchi dei clandestini. I 5 Stelle attaccano sulla nomina di De Gennaro a Finmeccanica e Letta assicura che «non c’è incompatibilità». Brunetta vuole una task force per i pagamenti alle imprese e Letta promette: «Seguirò personalmente la questione». Legge gli appunti, ma si vede che ha studiato i dossier «per dimostrare nei fatti cosa vuol dire centralità del Parlamento» e per ricordare ai partiti, con otto temi concreti, «quello che abbiamo fatto e quello che faremo». Sa bene che il suo governo è appeso alle sorti giudiziarie di Berlusconi, ha ovviamente chiaro il rischio che i parlamentari del Pdl potrebbero dimettersi in blocco in caso di condanna, eppure la sua strategia rivela lo sforzo di prescindere dall’agenda dei tribunali: «Si va avanti, finché dura. Il question time dimostra che il Parlamento ha lavorato, nonostante tutto…». E per ribadire l’idea di un governo che non molla, in serata incontra Saccomanni per fare il punto sulle questioni economiche dopo il declassamento del Paese.

Monica Guerzoni


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