Flessibilità, il governo accelera «Accordo tra le parti o interveniamo»

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ROMA — Anche sulla flessibilità dei contratti, il governo, nella sostanza, ha scelto il rinvio. Rimettendo la discussione a imprese e sindacati e dando loro tempo fino al 15 settembre per trovare un accordo, in mancanza del quale sarà lo stesso governo a intervenire. Questo il risultato del vertice, ieri mattina, tra il ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, e le parti sociali. Un rinvio, dunque, ma forse non c’era altra strada per evitare che il conflitto esplodesse nella stessa maggioranza di governo.

Alla fine sono tutti soddisfatti meno il Pdl. Maurizio Sacconi, presidente della commissione Lavoro del Senato e predecessore dello stesso Giovannini, definisce una «fuga dalle proprie responsabilità la decisione del ministro di rinviare a un accordo tra le parti la regolazione straordinaria dei contratti che tutte le associazioni datoriali e lo stesso governo consideravano necessaria» in occasione dell’Expo 2015 di Milano. Ma il ministro, che ha già dato appuntamento alle parti per il 30 luglio per una prima verifica sullo stato della trattativa (un secondo step è previsto il 29 agosto), è «fiducioso» che imprese e sindacati raggiungeranno l’accordo.

In ogni caso, la soluzione individuata ieri ha portato le forze della maggioranza, compreso lo stesso Pdl, a ritirare gli emendamenti presentati al decreto legge dello scorso 26 giugno. Emendamenti con i quali il partito di Berlusconi, raccogliendo il pressing delle imprese tutte (Confindustria, Abi, Ania, Rete imprese Italia e Alleanza delle cooperative), mirava a introdurre per almeno un paio d’anni una serie di flessibilità aggiuntive, in particolare sui contratti a termine, per tutte le aziende e su tutto il territorio nazionale, anche al di fuori delle attività legate all’Esposizione universale di Milano. Un’offensiva rispetto alla quale si sono messi di traverso i sindacati e il Pd, definendo inaccettabili tali emendamenti, soprattutto quello che avrebbe consentito di stipulare contratti ripetutamente con una stessa persona per un massimo di 36 mesi senza dover indicare la causale, cioè il motivo, cosa che attualmente è consentiva solo per il primo contratto a termine, che comunque non può durare più di dodici mesi.

Adesso la questione passa alla trattativa tra imprese e sindacati. Le posizioni sono diverse anche nel fronte sindacale. La Cgil è nettamente contraria a usare l’Expo come un pretesto per estendere la flessibilità su scala generale, la Cisl è disponibile a discuterne in cambio di un mutamento del regime fiscale e contributivo che porti il lavoro flessibile a costare di più di quello a tempo indeterminato, ripete il segretario Raffaele Bonanni. Al momento, quindi, l’accordo auspicato da Giovannini non sembra a portata di mano, tanto più se esso dovesse riguardare fattispecie non legate direttamente all’Expo.

Le imprese insistono. «Serve una risposta in tempi molto rapidi dice il vicepresidente della Confindustria, Stefano Dolcetta –. Bisogna creare flessibilità nel lavoro, dovendo dare risposta ad un evento straordinario come l’Expo». Il segretario della Cgil, Susanna Camusso, giudica «positivamente» che il governo abbia rimesso la materia alla trattativa fra le parti sociali, osserva però che fissare un termine perentorio, il 15 settembre, non aiuta il negoziato, e alle imprese ricorda che, per quanto riguarda l’Expo, è già in corso un confronto con le strutture di Milano e della Lombardia. Rete Imprese (artigiani e commercianti) ribatte che «il contratto a termine senza causale, temporalmente legato all’Expo, rappresenta una grande opportunità per l’occupazione». Il leader della Uil, Luigi Angeletti, dice che le parti sapranno trovare «soluzioni condivise». Giovannini delimita il campo di gioco: giungere entro il 15 settembre a un avviso comune che definisca le soluzioni per gestire in modo adeguato non solo le attività direttamente connesse alla realizzazione dell’Esposizione, ma anche quelle legate all’evento sul piano territoriale, settoriale e temporale». Adesso tocca a imprese e sindacati giocare la partita.

Enrico Marro


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