Debito, Letta rassicura la City “Privatizzazioni al via in autunno anche per società pubbliche quotate”

by Sergio Segio | 19 Luglio 2013 7:41

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ROMA — Il premier aveva appena chiuso la sua presentazione in powerpoint, nell’ambasciata di Londra, quando un investitore ha alzato la mano per lanciare una domanda: quand’è che il governo si sarebbe arreso all’evidenza e avrebbe – parole sue – «ristrutturato il debito o applicato una patrimoniale »? Nel gergo della finanza «ristrutturare» non è una parola neutra: significa modificare (in peggio) per gli investitori i termini dei rimborsi o il versamento degli interessi sulle obbligazioni, in questo caso sui titoli di Stato. E ovviamente una patrimoniale è un prelievo sui depositi bancari, magari robusto.
Era solo una provocazione, ma Enrico Letta non si è fatto cogliere a guardia abbassata. Nessuna patrimoniale, ha ribattuto. E nessuna ristrutturazione del debito. Del resto valeva la pena essere chiari, perché quella era una prima colazione di lavoro con alcune delle menti più affilate della City di Londra. All’ambasciata d’Italia l’altro ieri mattina c’erano quelli che, un po’ pomposamente, vengono chiamati strategist del debito pubblico delle grandi banche di Wall Street. Per Morgan Stanley si era scomodato anche il presidente e numero due globale, Colm Kelleher. Accanto a loro, in sala, una trentina di gestori dei fondi speculativi e dei grandi fondi d’investimento da migliaia di miliardi di dollari, da Blackrock a Pimco. Non certo una platea variegata: tutti rigorosamente maschi, di mezza età e bianchi, al punto che il premier per un attimo non ha saputo trattenere un tocco d’ironia toscana: «Ci sono più donne e persone di colore nel mio governo che in tutta questa sala», ha detto. (Si è sentita un’unica persona ridere sommessamente, Anna Marra, rappresentante della Banca d’Italia e sola donna presente).
Ma soprattutto quella dell’altro giorno non era una platea davanti alla quale un premier italiano potesse permettersi di vacillare. E Letta non lo ha fatto: «Faremo di tutto per garantire la sostenibilità del debito, ne va limitato il costo in interessi e la quantità», ha preso la rincorsa. Poi l’annuncio: a settembre o ottobre, ha aggiunto, «lanceremo un piano di privatizzazioni» per ridurre gli oneri cumulati dello Stato, ed esso riguarderà «anche le imprese pubbliche quotate in Borsa ». A questo proposito il premier si è impegnato a tornare in visita alla comunità finanziaria di Londra con Fabrizio Saccomanni. E ha offerto un motivo di più che lo spingerà a lavorare fianco a fianco con il ministro dell’Economia: è vicina la nomina di un commissario alla spesa pubblica che riferirà a entrambi e ripartirà dalla spending review già stilata dal governo Monti.
Non che questi impegni abbiano reso più clementi gli investitori, l’altro giorno a Londra. Un manager tedesco ha fatto notare al premier che il suo predecessore Mario Monti perseguiva riforme di sostanza, mentre ora si avverte il rischio di passi indietro sulle pensioni o sul lavoro: anche qui Letta ha respinto le critiche al mittente, ma la serie di domande quasi brusche non si è fermata per questo. Non poteva. Perché il punto sul quale tutti gli investitori internazionali hanno insistito, nell’incontro di Londra non è stato il destino dell’Imu o dell’Iva; in realtà non è stato neanche il rischio di violare la soglia europea del 3% di deficit su Pil o le probabilità che il governo vari una manovra correttiva in autunno. Niente di tutto questo interessava gli strategist del debito.
Ciò che li interessava era la crescita. Tutti, in quella sala di una quarantina di maschi, bianchi e di mezza età che gestiscono migliaia di miliardi di dollari, in fondo volevano chiarezza solo su quel punto: come farà l’Italia a spezzare il circolo vizioso di un’economia che si sta avvitando verso il basso. Qualcuno gli ha chiesto conto dei tempi lunghi della giustizia, ostacolo agli investimenti, e Letta non si è nascosto: «Aspettare mille giorni per una sentenza è inaccettabile. In questi anni — ha detto il premier con un riferimento non troppo velato a Silvio Berlusconi — ci si è occupati della giustizia per uno solo. Invece io voglio occuparmi di quella per i 60 milioni di persone che vivono in Italia».
C’è stato poi chi ha sfidato il premier sull’inefficienza dell’amministrazione e la scarsa meritocrazia degli apparati. Qui è arrivata una replica fulminante: «Ci sono manager di Stato che vengono pagati trenta volte più del loro premier », ha detto Letta, prima di enumerare le misure che sta studiando con il ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri per facilitare il percorso degli investitori esteri in Italia: per loro ci saranno strutture dedicate nei tribunali di Milano, Roma e Napoli, con procedure accelerate e giudici che parlino inglese. Stessa esigenza di rapidità, ha promesso il premier, per l’iter legislativo in ogni provvedimento futuro.
Alla fine tutti sono rimasti all’ambasciata più di quanto avessero previsto. Alcuni si sono alzati soddisfatti, quasi rassicurati. Altri sempre scettici. Ma Letta per primo lo sa, e non è scivolato nello hobby preferito di tanti politici: minimizzare i problemi o scaricarne la responsabilità fuori dai confini e dal proprio controllo, in primo luogo sulla Banca centrale europea. «Mario Draghi è stato bravissimo — ha concesso il premier — Ha fatto tutto ciò che poteva.
Adesso tocca solo a noi».

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