Pdl, cresce il fronte governativo «E a ottobre non si può votare»

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ROMA — La linea resta quella della cautela pubblica e privata, e i fedelissimi di Berlusconi assicurano che «non c’è stato alcun approfondimento esplicito» sulle mosse da fare dopo che il 30 luglio la Cassazione avrà probabilmente deciso il futuro del Cavaliere, che pare intenzionato a non favorire slittamenti della sentenza magari rinunciando appositamente alla prescrizione.

Se sia la speranza che in effetti dalla Suprema corte arrivi un responso positivo, o se sia la linea del low profile imposta dall’avvocato Coppi fin dal primo momento, lo si capirà solo a verdetto annunciato. Ma non c’è dubbio che nel Pdl, rispetto a qualche settimana fa, l’idea che si possa far saltare il banco in caso di condanna di Berlusconi, pretendendo il voto subito in ogni modo — dalle dimissioni di massa alla chiamata alle piazze — sembra molto meno concreta.

«Noi in questo governo investiamo molto, pensiamo che debba andare avanti per il bene del Paese. Poi certo la sentenza della Cassazione andrà valutata, bisognerà valutarne la portata, ma allo stato il nostro sostegno all’esecutivo è senza ombre», dice Paolo Romani. Con Renato Brunetta che, dopo essere stato tra i più feroci critici del governo nelle prime settimane e tra i falchi che consigliavano a Berlusconi di staccare la spina e non perdere l’occasione di andare a votare prima di una eventuale interdizione, ieri si è spinto a chiedere «un patto di legislatura» nella maggioranza, perché l’esecutivo deve andare avanti.

Maurizio Gasparri non vuole trarre conclusioni: «Aspettiamo il 30 — predica — è ridicolo dire ora quello che succederà, e lo è ancor di più ipotizzare rimpasti o patti o qualsiasi cosa. Il Pd ha un grosso problema di disagio interno, noi abbiamo la Cassazione che è un possibile fattore di destabilizzazione esterno: fare oggi previsioni su settembre, ma anche su agosto, è inutile…». Anche perché, giurano tutti, se Berlusconi ha in testa qualche soluzione già delineata non la sta dicendo in giro, perché «le tensioni non gli gioverebbero».

E però ci sono i fatti. Il primo, indiscutibile, è che il Cavaliere è tanto angosciato quanto arrabbiato per la «nuova offensiva giudiziaria»: venerdì Alfano ha portato a casa un risultato, ma sono arrivate altre tegole per l’ex premier: il rischio di un secondo processo, per falsa testimonianza stavolta, sul caso Ruby, quello di un rinvio a giudizio a Bari per l’escort gate, nonché il caso compravendita a Napoli. Insomma, non si vedono schiarite all’orizzonte che mettano al riparo il suo futuro.

E però, spiegano i suoi fedelissimi, è anche vero che è il quadro complessivo oggi a essere cambiato. «Napolitano — ammette Romani — ha fatto capire che lui, oggi, le Camere non le scioglie». E dunque, anche Berlusconi con i suoi ha ragionato sul fatto che «la finestra elettorale di ottobre sembra chiusa». Non solo: nel Pdl si continua a difendere a spada tratta Alfano, ma la consapevolezza che l’immagine del segretario e complessivamente di tutto il partito abbia subito un danno c’è. «Oggi come oggi, in caso di condanna di Berlusconi, come andremmo al voto? Saremmo deboli, senza leadership spendibili. Noi abbiamo bisogno di tempo per riorganizzarci, non di un voto che, se fallisce il governo Letta-Alfano, consegna il Paese a Renzi», scuote la testa un ex ministro dando voce ai dubbi di tutta l’area moderata.

Ma è lo stesso Berlusconi, nei suoi colloqui con Confalonieri, con Letta, con l’inner circle più ristretto, a non sottovalutare mai il rischio che, in caso di rottura della maggioranza, le cose «potrebbero andare anche peggio per noi». Per il partito, come per le sue aziende, che come il resto del Paese «soffrirebbero l’assenza di un esecutivo equilibrato dalla nostra presenza. Pensate in che situazione ci troveremmo con i grillini al governo…».

Insomma, nulla è deciso, ma cresce la sensazione che non esista allo stato via d’uscita diversa dal continuare a sostenere l’esecutivo in ogni caso. Fino a prova contraria, con Berlusconi sempre possibile.

Paola Di Caro


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