Spesa sociale, grande inefficienza abbatte solo il 20% della povertà
ROMA — Le politiche contro la povertà hanno fallito. Per l’assistenza spendiamo ogni anno circa 67 miliardi di euro, pari a poco più del 4% del Pil, ma il tasso di povertà assoluta è cresciuto in un anno dal 5,2% (nel 2011) al 6,8 per cento (nel 2012), più di un punto percentuale, come certificano gli ultimi dati dell’Istat. Concentriamo tutto sui trasferimenti monetari ignorando la centralità dei servizi di cura. Già alla fine degli anni Novanta la “commissione Onofri” aveva denunciato i difetti nel nostro sistema assistenziale. Non è cambiato nulla, l’unico parziale intervento legislativo è stata la legge 328 del 2000, mentre per lavoro e previdenza si sono susseguite una serie di riforme.
È la Depressione che ci obbliga di nuovo a fare i conti con la povertà. Parola, e condizione, che, dopo il miracolo economico, avevamo provato a rimuovere — con tanta ipocrisia — dal nostro modello di welfare. Tante pensioni, valanghe di cassa integrazione, indennità di mobilità sempre legate al posto di lavoro, e poca assistenza tanto più con misure frammentate e mai uguali per tutti perché diverse in base all’età, alle categorie sociali e anche al territorio. Con il paradosso che spesso il sostegno al reddito arriva a chi sta un po’ meglio e non a chi è indigente e sta in fondo alla scala sociale. «Perché la povertà — spiega Emanuele Ranci Ortigosa che ha coordinato una ricerca del-l’Irs, l’Istituto per la ricerca sociale, per riformare il welfare assistenziale — non ha rappresentanza». Risultato: la nostra spesa sociale abbatte la povertà solo del 19,7%, contro una media europea del 35,2%, ma con picchi del 50% e oltre tra i Paesi più virtuosi, come Finlandia, Lussemburgo, Ungheria, Danimarca e Irlanda. Peggio di noi riescono a fare solo la Grecia e la Bulgaria. Vuol dire che si spendono soldi sbagliando obiettivo. E che bisogna cambiare in fretta perché, in un’economia che non cresce, dove
si impennano disoccupazione e diseguaglianze, il tasso di povertà è destinato, purtroppo, a non fermarsi.
L’Irs, con uno studio che rimette insieme tutte le diverse voci che compongono l’assistenza, propone di voltare pagina senza aumentare le risorse, date le politiche di austerity, ma distribuendole in maniera efficace. Con un principio di base: gli istituti devono essere uguali per tutti e devono sostenere davvero i più fragili utilizzando il parametro chiave dell’Isee. La spesa andrebbe indirizzata lungo tre direzioni: il sostegno ai nuclei familiari, il contrasto alla povertà, l’aiuto agli anziani, parzialmente o totalmente non autosufficienti. Al posto delle detrazioni Irpef e gli assegni familiari («misure categoriali e poco efficaci — secondo l’Irs — nel ridurre le disparità economiche fra le famiglie»), potrebbero arrivare — utilizzando i 17,8 miliardi a disposizione — due tipi di interventi tra loro alternativi: o una destinata alle famiglie con minori a carico (in tutto circa 6,5 milioni di nuclei), oppure un assegno anche per le famiglie con figli non minori a carico (platea di 10,2 milioni) mantenendo in questo caso le detrazioni per il coniuge e per eventuali familiari diversi dai figli. Per i nuclei senza minori a carico resterebbero gli attuali assegni familiari.
Ma la proposta più netta contro la povertà è l’introduzione del reddito minimo. Secondo l’Irs servirebbero 7,3 miliardi di euro che si ricaverebbero attraverso «l’azzeramento di quei trasferimenti di contrasto della povertà vigenti (pensioni sociali e integrazioni al minimo in primis, ma anche la social card) che, a causa dell’irrazionale meccanismo di selettività attualmente in vigore, affluiscono a favore di nuclei familiari che appartengono a decili di Isee superiori alla mediana». Ci vorrà gradualità. Infine per gli anziani, anche parzialmente, non autosufficienti, non più l’indennità di accompagnamento (che va solo a chi è totalmente invalido) ma una “dote di cura” per la popolazione over 65, in aumento. A beneficiarne sarebbero da 1,4 a 1,6 milioni di anziani contro gli attuali duecentomila che ricevono l’indennità.
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