Egitto, l’esercito «chiama» la piazza

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GERUSALEMME — Le lenti nere degli occhiali da sole non oscurano il messaggio. Abdel Fattah Al Sisi — generale, vice-premier, ministro della Difesa, uomo più potente dell’Egitto — incita il popolo a manifestare, a scendere in piazza domani «per conferirmi un mandato»: «Non vi ho mai chiesto nulla, adesso reclamo un vostro comando. Mostrate al mondo che avete una volontà e che autorizzate le forze di sicurezza a intervenire per fermare la violenza e il terrorismo».

In alta uniforme, Sisi parla davanti ai cadetti dell’accademia militare di Alessandria: il messaggio non è per i ragazzi, le frasi sono rivolte a un leader di 62 anni, che ha perso il posto di presidente tre settimane fa, quando l’esercito lo ha arrestato. Mohamed Morsi non può parlare, replica uno dei suoi consiglieri: «Il generale vuole un’autorizzazione al massacro, sta annunciando la guerra civile. Nessun egiziano che abbia un po’ di onore risponderà all’appello», commenta in televisione Mohamed el-Beltagy, tra i capi dei Fratelli Musulmani.

Il confronto a parole potrebbe diventare uno scontro sulle strade. Sisi invoca milioni di manifestanti, ancora di più di quelli che hanno partecipato alla prima protesta contro Morsi il 30 giugno. Il movimento islamista promette cortei «contro il colpo di Stato» da trentaquattro moschee al Cairo: «Non c’è altra soluzione che ridare il potere al legittimo presidente», dice Essam el-Erian, importante dirigente della Fratellanza.

Il generale ha tenuto il discorso a poche ore da un attentato contro una caserma della polizia a sessanta chilometri a nord della capitale e dopo gli scontri più sanguinosi (12 morti nella notte tra martedì e ieri) da quelli dell’8 luglio quando oltre cinquanta sostenitori di Morsi sono stati uccisi dai poliziotti e dai militari. La penisola del Sinai resta fuori controllo, più di venti agenti e soldati ammazzati in meno di un mese.

Il portavoce di Adly Mansour, insediato come presidente ad interim dai generali, minaccia i Fratelli Musulmani: «Non permetteremo che questo Paese diventi una seconda Siria. Chiunque ci provi verrà trattato come un traditore». La procura egiziana ha ordinato l’arresto della guida spirituale e leader della Fratellanza Mohamed Badie e di altri otto dirigenti dei Fratelli musulmani, accusati di istigazione alla violenza.

Più conciliante Mohamed ElBaradei, premio Nobel per la pace e uno dei vicepresidenti: «Una giustizia che corregga gli abusi e la riconciliazione nazionale basata sull’accettazione degli altri sono le nostre uniche possibilità», scrive su Twitter .

Il movimento Tamarod (Ribellione) — ha congegnato la raccolta firme e le proteste che hanno portato alla caduta di Morsi — appoggia l’appello del generale Sisi. Che ha voluto ribadire «di aver solo compiuto il desiderio del popolo»: «Non pensiate che io abbia ingannato l’ex capo dello Stato. Gli ho sempre detto che l’esercito è l’esercito di tutti gli egiziani, che mantiene una posizione equilibrata rispetto alle parti».

Assicura di non voler rallentare («neppure di un secondo») il processo politico annunciato: elezioni parlamentari e presidenziali agli inizi del 2014 sotto la supervisione degli europei e delle Nazioni Unite: «Tutto il mondo può venire a controllare». Quella parte del mondo che è fondamentale per l’esercito egiziano — 1,3 miliardi di dollari l’anno (circa 984 milioni di euro) in aiuti militari — ha deciso di mandare ieri un segnale: gli Stati Uniti hanno sospeso la consegna di quattro caccia F-16 «a causa dell’instabilità nel Paese».

Davide Frattini


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