Ultimatum dei militari ai Fratelli Musulmani «48 ore per allinearsi»

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IL CAIRO — Vigilia di tensione e paura per l’Egitto sull’orlo della guerra civile. Gli ospedali sono in allarme, si preparano cliniche di fortuna, si fanno scorte di cibo e benzina. «La violenza crescerà nella serata di venerdì e potrebbe allargarsi nel fine settimana», temono i giornalisti locali. Milioni di manifestanti favorevoli ai militari che il 3 luglio hanno defenestrato il governo dei Fratelli Musulmani e arrestato il presidente Mohamed Morsi sono attesi oggi nelle piazze di tutto il Paese in risposta all’appello lanciato mercoledì dal generale Abdel Fattah Al-Sisi. È lui l’uomo forte del momento autonominatosi ministro della Difesa ad interim: chiede il pieno mandato popolare per usare il pugno di ferro contro il fronte religioso. In un ultimatum reso noto ieri concede «48 ore» (dunque sino a sabato pomeriggio) ai Fratelli Musulmani per porre fine alle manifestazioni di protesta che da quasi un mese scuotono l’Egitto. Il comunicato distingue tra «popolo» e «terroristi che non hanno patria o religione», ma ribadisce la vecchia tesi per cui i sostenitori del presidente defenestrato sarebbero comunque nemici da combattere «con ogni mezzo».

I Fratelli Musulmani rispondono gridando al «golpe». Per loro al sopruso dell’esercito, visto come la versione ancora più «intransigente» delle vecchie forze armate dell’ex presidente Hosni Mubarak, si deve reagire con la piena mobilitazione. Non lasciano spazio al compromesso. Hanno rifiutato gli appelli al dialogo lanciati dal nuovo presidente ad interim, Adli Mansur, bollato a sua volta come un «burattino di Al Sisi e degli americani». E non intendono togliere le barricate. Anche ieri i loro leader ancora in libertà (a centinaia sono stati arrestati nelle ultime tre settimane) hanno definito l’appello alla mobilitazione di Al Sisi «un invito alla guerra civile». Ma a loro volta sono divisi. Le frange più estreme si stanno armando. Due sere fa alcuni gruppi hanno cercato di attaccare l’aeroporto di Luxor. Nel Sinai sono stati uccisi altri due militari (sono 30 i soldati morti nella regione dai primi di luglio). Morti chiamano morti. Pare siano oltre 150 i militanti del fronte religioso deceduti in un mese. La catena di violenze è alimentata dalla crisi economica sempre più grave. Dagli Stati Uniti l’amministrazione Obama invita i militari alla moderazione e fa sapere che non dichiarerà la destituzione del governo precedente un colpo di Stato.

Mohamad Badie, uno dei massimi leader spirituali dei Fratelli Musulmani, ha invitato ieri i seguaci a «manifestare per ripristinare il governo legittimo e la legalità», ma anche ad «evitare le provocazioni e lo scontro violento». E ha aggiunto: «L’appello di Al-Sisi è una vera catastrofe, spinge al massacro, peggio che se fosse stata distrutta la Kaaba alla Mecca». Al Cairo ieri sera imperava una calma tesa, preoccupata. I posti di blocco militari fermavano l’accesso agli assembramenti religiosi. Le televisioni nazionali filo-militari hanno cancellato le telenovelas per il Ramadan col fine di non distogliere la popolazione dalla mobilitazione in sostegno di Al-Sisi. Intanto gli elicotteri dell’esercito hanno lanciato volantini sui quartieri bastione dei Fratelli Musulmani, specie nella zona della moschea di Rabaa Adawiya, per invitare la gente a «unirsi nello sforzo di riconciliazione nazionale». Ma la logica del muro contro muro domina incontrastata.

Lorenzo Cremonesi


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