«Il treno andava al doppio del limite di velocità»

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SANTIAGO DE COMPOSTELA — L’ha detto per primo il macchinista Francisco Josè Garzon del Amo: «Andavo a 190 all’ora». Lo confermano i calcoli dei tempi di percorrenza fra i piloni: andava a 190 all’ora. E se casomai non bastasse c’è il video. Dalla cima di un palo della ferrovia una telecamera di sicurezza riprende il treno «Alvia 141» mentre imbocca velocissimo la curva «A Grandera» e mentre si schianta e si scompone come fosse un trenino giocattolo. 190 all’ora contro un limite massimo consentito di 80. Dentro quel «giocattolo» la differenza fra la salvezza e la fine è dettata dal caso: essere in questa o quella carrozza, in piedi o seduti, nel punto che ha preso fuoco oppure no.
Almeno ottanta persone avevano comprato assieme al biglietto anche la cattiva sorte: i loro nomi sono nella lista delle vittime accertate fino a ieri sera, ma l’elenco potrebbe essere più lungo perché fra i 95 feriti ricoverati ce ne sono 36 in gravi condizioni, alcuni in pericolo di vita. Le autorità galiziane parlano anche di un giovane italiano fra le vittime (un siciliano che vive all’estero, dicono), ma dall’ambasciata italiana non arriva nessuna conferma né arrivano indicazioni ulteriori da chi ha diffuso la notizia. Quello che risulta è che fra tutte le persone delle quali i parenti dall’Italia hanno chiesto informazioni ce n’è soltanto una (un ragazzo, appunto) che finora non è stato possibile rintracciare. Smentita anche la presenza di un gruppo di italiani a bordo.
Ore e ore dopo il disastro di Santiago è ancora confuso anche il numero totale dei feriti che varia da 168 a 178. Nella palazzina vicino allo stadio, dov’è stata messa in piedi a tempo di record l’unità di crisi, i parenti dei pellegrini in viaggio sull’Alvia 141 ieri arrivavano alla spicciolata. Tutti a camminare dritti come automi verso una sala enorme, a sprofondare sfiniti nelle poltrone rosse dopo una notte insonne. E ad aspettare, aggrappati all’ostinazione della speranza. Finché dal fondo dello stanzone la voce di un poliziotto non scandiva una frase neutra: «Per favore vengano i parenti di…» questo o quel nome. E allora da qualche parte, nella sala, c’erano mani che si levavano, si aprivano occhi annegati nel pianto. «Siamo qui», «Dov’è?», «Come sta?». Il più delle volte quei nomi erano di persone morte.
A pochi chilometri da quella sfilata di dolore e da quelle facce stravolte c’è l’ospedale dov’è ricoverato il macchinista del treno, da ieri sera in stato di fermo. «L’eccesso di velocità — spiega il professor Antonio Ruiz de Elvira, docente di fisica applicata all’università di Alcala de Henares — ha di fatto annullato la capacità di mantenere nei binari il convoglio, cosa che deriva dal rialzamento del tracciato nella parte esterna dei binari. Praticamente è come se il tracciato fosse stato totalmente piano, anziché curvato verso l’interno per consentire la stabilità».
Difficile ipotizzare un’avaria alla motrice perché proprio l’altro ieri mattina era stata revisionata e aveva passato i controlli tecnici prima di mettersi in viaggio lungo la linea Madrid-Ferrol. Sarebbe inconsistente anche l’ipotesi di un guasto al sistema di sicurezza installato lungo il tracciato. In caso di violazione dei protocolli il sistema entra in funzione automaticamente, ma stavolta sarebbe stata proprio l’alta velocità a non consentirne l’avvio. Prima della curva della morte c’è un lungo rettilineo e in quel tratto Francisco José Garzon ha spinto al massimo. Quindi l’ipotesi più verosimile è che poi non sia più riuscito a riportare il treno a una velocità accettabile per affrontare la curva «A Grandera». Ieri doveva essere un giorno di festa, a Santiago. Il giorno di San Giacomo, dei pellegrini a migliaia per le vie della città, della messa solenne in cattedrale, dei canti per strada e dei fuochi d’artificio. Tutto annullato. La settimana di lutto nazionale è cominciata con una giornata mestissima, con la piazza della cattedrale piena di gente che parlava soltanto dell’incidente e della fortuna di non aver preso quel treno.
Le immagini dello schianto hanno fatto il giro del mondo. «Le abbiamo viste anche noi», dice Annamaria Lanci, arrivata fin qui da pellegrina con un pullman di 55 persone dall’Abruzzo. Racconta di mercoledì sera, appena si è saputo della tragedia. «La polizia ha sgomberato la piazza, si pensava a un attentato, c’è stato il panico». Sulle prime in effetti si era ipotizzato l’attentato, poi escluso. Nelle viuzze che costeggiano il centro un gruppo di ragazzi suona cornamuse e tamburi. Alle sette di sera un poliziotto li interrompe: «Qui c’è gente che ha il dolore nel cuore, per favore oggi non si suona niente».
Giusi Fasano


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