“Mai più casi come Giulia, ma lo Stato ci aiuti”

by Sergio Segio | 28 Luglio 2013 9:29

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ROMA — Giulia si sente prigioniera, lei, la vittima, è costretta a nascondersi mentre chi la picchiava è libero. Eppure Giulia in quest’Italia dei femminicidi quotidiani è una di quelle poche donne fortunate ad avere trovato protezione in una casa alloggio dei centri anti-violenza: ci sono infatti solo 700 letti per accogliere ragazze maltrattate, madri in fuga con i figli da padri aguzzini.
«Dovremmo averne 5700 secondo l’Europa ma tutto o quasi è affidato ai privati, alle onlus, al volontariato. Lo Stato non dà fondi e così la situazione va sempre peggio: 63 sono centri creati da Dire (donne in rete contro la violenza), dieci rischiano la chiusura e così altre donne non sapranno dove rifugiarsi, dove cercare aiuto, psicologico e legale. Perché da qui si parte per ricostruire un nuovo futuro. Per tornare finalmente libere. Dalla paura». Titti Carrano, avvocato civilista, presidente di Dire, conosce bene il problema che i numeri – una donna uccisa ogni tre giorni da chi diceva di amarla – non bastano a raccontare. E così davanti alla richiesta di aiuto di Giulia, che ha scritto a Repubblica chiedendo che lo stato «si metta dalla parte delle vittime», prova a fare il punto di quello che c’è e di quello che manca.
«Ci vogliono politiche globali e integrate, la repressione non basta. Le leggi ci sono, anche se possono essere migliorare, ma la cosa fondamentale è la loro applicazione. Per questo ci vogliono avvocati, poliziotti, carabinieri e magistrati preparati che sappiano distinguere quando è conflitto e quando è violenza. Che sappiano quando applicare la misura cautelare così poco usata. C’è bisogno di specializzazione, formazione, più sensibilità. C’è bisogno di responsabilità politica e finanziamenti non a singhiozzo altrimenti i centri chiudono. E con essi non solo un luogo sicuro ma il punto di partenza per le donne dove inventarsi un futuro». A Milano su 1500 denunce di donne malmenate ogni anno 1000 vengono archiviate, racconta Manuela Ulivi, presidente della Casa delle donne maltrattate, la prima creata nel ’91 con 40 milioni regalati dai milanesi. Per questo chiede più formazione dai giudici alle forze dell’ordine che «troppo spesso rimandando a casa la donna dicendo: è solo una litigata».
(c.p.)

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