Pd, cresce la paura di contraccolpi E Delrio: qualche preoccupazione c’è

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ROMA — «Qualche preoccupazione per la tenuta del governo c’è». Alle 20.09, quando l’unico renziano della squadra di governo, Graziano Delrio, si presenta ai microfoni di Radio Rai e corregge la tranquillità ostentata da Enrico Letta, ecco che la profezia di Ugo Sposetti comincia ad avverarsi. E nonostante il ministro degli Affari regionali precisi che «il Pd non discute le sentenze» e che «chi vorrà la fine del governo dovrà spiegarlo agli italiani», in quel momento appare chiaro che il partito di Epifani — sulla sentenza della Cassazione che attende Berlusconi — rischia davvero di «saltare come un birillo». Proprio come aveva spiegato l’ex tesoriere di Ds.

Anche perché non ci sono soltanto i distinguo a Palazzo Chigi. C’è un partito intero, già lacerato dalle dispute congressuali, in cui la partita giudiziaria di Berlusconi rischia di far saltare il banco.

I renziani si muovono uniti. Tanto che Angelo Rughetti evita scorciatoie e va dritto al punto. «Se condannano Berlusconi, il primo birillo che salta è il governo». E non è l’unico, tra i sostenitori del sindaco di Firenze, a scommettere sulla resa dei conti. «Facciamo pure finta che al sottoscritto stia bene continuare a governare con Silvio Berlusconi anche se lo condannano» è la premessa di Michele Anzaldi, deputato siciliano. «Ma quando nel fine settimana devo tornare a casa mia» aggiunge «secondo voi la gente non mi dice nulla del fatto che il Pd sta in maggioranza con un condannato in via definitiva?». Un’analisi che non va troppo distante da quella in cui si esercita Paolo Gentiloni. «Se Berlusconi venisse condannato e il Pdl accettasse il pensionamento obbligato del suo capo, per noi non ci sarebbero problemi». Ma, è la subordinata dell’ex ministro, «siamo sicuri che il Pdl starebbe buono? Io non tanto. E se loro reagissero in maniera eversiva, noi non potremmo continuare a stare in maggioranza con loro…».

Oltre i puntini di sospensione del ragionamento di Gentiloni, insomma, c’è lo stesso finale immaginato in caso di condanna dagli altri renziani. Il game over delle larghe intese. Ed è lo stesso che il «fronte governista» del Pd esorcizza come se volesse tenerlo lontano. Guglielmo Vaccaro, lettiano doc, ostenta serenità davanti a un panino alla buvette. «Comunque vada, nel cuore degli italiani c’è la stabilità» dice. «Sì, ma nella loro mente c’è sempre l’instabilità» ribatte il collega Dario Ginefra. «Per la prima volta sono d’accordo col compagno Sposetti. Se salta Berlusconi, può succederci di tutto» sussurra Pippo Civati. «Succede che dobbiamo clonare dieci Giorgio Napolitano e metterci nelle loro mani per i prossimi venti anni. Il presidente è l’unico di cui tutti possiamo fidarci» sorride la deputata piemontese Cristina Bargero, anch’essa governista. Com’è governista anche Nico Stumpo, che con una battuta lascia intendere la via d’uscita che un pezzo consistente del Pd potrebbe individuare se Berlusconi venisse assolto: «Se succede, il governo dura fino al 2017».

Ma c’è chi fiuta l’arrivo di venti di guerra nel Pd anche in caso di assoluzione. «Comunque vada, la sentenza sarà uno spartiacque» giura Nicola Latorre. «Io ho paura che un partito diviso tra chi vuole andare a Palazzo Chigi al posto di Letta e chi vuole fermare Renzi anche per la segreteria, dopo la sentenza, possa anche saltare» è lo spettro evocato da Beppe Fioroni. Che tanto lontano dalla parola «scissione», anche se non la nomina, non va. «Se salta tutto, facciamo un bel Pse con D’Alema leader» è l’azzardo del lucano Vincenzo Folino, dalemiano doc. E per trovare due persone di verse correnti che concordino su un punto, basta chiedere un parere tecnico a due avvocati eletti nel Pd.

La prima è la renziana Maria Elena Boschi: «Ho scommesso con un amico che Berlusconi si salva. Annullamento con rinvio». Ed è lo stesso scenario che ipotizza Umberto De Caro, che fu difensore di Craxi.

«Articolo 606, numero 1, lettera E del codice di procedura penale. Verifica della logicità del percorso… Può salvarsi, Berlusconi». Rinviando, forse, quella resa dei conti che il Pd ha calendarizzato in una Direzione che si terrà non più giovedì. Ma in pieno agosto .

Tommaso Labate


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