Banca di Libia, cercasi capo con l’occhio all’Italia

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I candidati — nazionalità libica, buon inglese e profonda conoscenza della finanza islamica sono tra i requisiti richiesti — dovranno inviare il curriculum e compilare un modulo online entro il 7 agosto. Ulteriori informazioni si possono trovare sul sito dell’assemblea legislativa: proprio lui, il Congresso nazionale generale.

Così, nel giro di poche settimane, le ricche «holding» della martoriata Libia cambiano i vertici. Se a breve toccherà alla banca centrale, qualche settimana fa — secondo il «Sole 24 Ore» — è stato il turno della Libyan Investment Authority (Lia): il fondo sovrano avrebbe scelto alla sua guida Abdulmagid Breish, in passato ai vertici dell’Arab Banking Corporation, istituto finanziario del Bahrain controllato dalla Banca centrale libica. Anche Breish, come è richiesto al nuovo governatore, ha quindi nel curriculum una forte conoscenza della finanza islamica. A cui si aggiunge — ora — un portafoglio di decine di miliardi di dollari, con diverse partecipazioni in Italia. Quali? La Lia ha in pancia l’1% di Unicredit che, sommato al 2,9% in mano alla Banca centrale, porta la partecipazione libica in Piazza Cordusio intorno al 4%, facendone il terzo azionista dell’istituto italiano (al primo posto c’è un altro socio arabo, la Aabar di Abu Dhabi). Nel portafoglio della Lia c’è poi il 2% di Finmeccanica e, a quanto sembra, una quota più contenuta nell’Eni: sotto il 2% e quindi non ufficialmente censita nelle partecipazioni rilevanti raccolte dalla Consob, che vanno dal 2% in su. Ma la lista delle quote libiche in Italia non finisce qui: continua con la Lafico (Libyan foreign investment company), controllata dalla Lia. Ebbene, la Lafico, storica azionista della Fiat e della Juventus, non sembra aver allentato completamente la presa sui due asset torinesi, scendendo ma mantenendo una quota — pur sotto il 2% — in tutte e due le società. Tutte queste partecipazioni erano state sequestrate durante la guerra, su richiesta della Corte internazionale dell’Aia, con un «congelamento» che si è poi concluso circa un anno fa.

Non ci sono però solo finanza, industria e sport negli interessi libici in Italia, finanziati soprattutto con i proventi del petrolio. Nel portafoglio della Lafico infatti, almeno fino a pochi mesi fa, c’è anche il mattone, da un immobile a Roma fino a un bosco a Pantelleria.

Lafico e Lia a parte, resta ora da vedere chi sarà il nuovo governatore della banca centrale di Tripoli, il terzo in pochi anni. Fino all’inizio della rivolta anti-Gheddafi la poltrona numero uno era occupata da Farhat Bengdara, che poi ha lasciato la Libia (e la vicepresidenza di Unicredit, cui era arrivato come azionista forte della banca). Dopo Bengdara è stato il turno di Saddeq Omar Elkabber, sulla cui sorte — visto il bando di questi giorni — in molti si fanno domande. Si è dimesso, va in pensione o è stato licenziato? Nominato con il nuovo corso post Gheddafi, è già vicino a lasciare la scena. A Tripoli, tuttavia, non si esclude una sua rielezione. Ma sembra un’ipotesi improbabile: perché allora aprire il bando?

Giovanni Stringa


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