Caccia all’ultimo neurone

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Il luogo più complesso dell’universo? È racchiuso in poche decine di centimetri. Con più neuroni in testa che stelle in cielo, il cervello è una frontiera che ancora resiste all’esplorazione scientifica. Il muro non resterà in piedi per molto, sperano i ricercatori, pronti a partire per un viaggio al centro della mente umana, tappa estrema di un “conosci te stesso” per il quale a oggi non esistono che mappe sfocate.
L’impresa è affidata a due squadre, una in Europa e una negli Stati Uniti, con centinaia di scienziati ciascuna. Quello che il capo della Casa Bianca ha definito «il grande progetto del ventunesimo secolo» ha finanziamenti e aspettative paragonabili al sequenziamento del genoma umano degli anni 90 (3,8 miliardi di dollari tra 1988 e 2001). Con un miliardo di dollari (da Bruxelles) e una cifra compresa fra due e tre miliardi (da Washington) i due team disegneranno in dieci anni la mappa dei 100 miliardi di neuroni di un centinaio di forme diverse che compongono l’architettura del nostro cervello. La carta dovrà contenere anche i 100 trilioni di connessioni che i neuroni intessono tra loro, in quella rete di abbracci a 360 gradi che le cellule stringono, formando le autostrade su cui viaggiano gli impulsi nervosi. Sono questi i flussi di elettricità, i messaggeri chimici e le informazioni che — se organizzati in modo coerente e sincronizzato — vengono chiamati pensieri.
Il progetto europeo, rispetto a quello Usa, ambisce a fare un ulteriore scatto di reni. A trasferire cioè i dati sull’architettura e sulle regole di funzionamento del cervello umano in un computer. Un calcolatore così potente non è mai stato realizzato, ma fra dieci anni, ai ritmi di sviluppo attuale, la tecnologia informatica sarà forse riuscita a costruire una macchina da un trilione di operazioni al secondo.

Fra le scommesse del “Progetto Cervello Umano”, questa non sarebbe nemmeno la più azzardata. «Una giungla impenetrabile in cui molti ricercatori si sono persi» descriveva il cervello nel 1923 Ramon y Cajal, uno dei primi scienziati a cimentarsi con il mistero dell’universo che portiamo sulle spalle. «Anche oggi, con gli strumenti ottici, riusciamo a osservare solo lo strato esterno, fino a un millimetro e mezzo di profondità» spiega Rafael Yuste, codirettore del Kavli Institute for Brain Science alla Columbia University di New York. A rendere unico, inimitabile (e incomprensibile) l’organo del pensiero, secondo il neuroscienziato di Harvard Jeff Lichtman, è un aspetto quasi metafisico: «Il cervello non è solo il prodotto di un set di istruzioni genetiche, ma anche della nostra esperienza quotidiana. Ognuno dei nostri circuiti nervosi viene permanentemente modificato e personalizzato da ciò che viviamo giorno per giorno». Un bersaglio mobile, dunque, associato a una complessità incomparabilmente superiore agli altri tessuti del
corpo (la sola retina è composta da cinquanta tipi di cellule, contro i cinque del fegato) e a una scoraggiante impossibilità di legare le malattie a difetti osservabili. «La lista delle malattie mentali incurabili è lunghissima» spiega Lichtman. «E non solo non abbiamo trattamenti. In molti casi non abbiamo nemmeno idea di quale sia il problema ».
Con quali strumenti gli scienziati partiranno alla scoperta del “continente oscuro” del corpo umano? «I mezzi tradizionali — spiega Yuste — ci permettono di registrare l’attività elettrica di un neurone alla volta. Ma ogni singola area cerebrale è composta da centinaia di neuroni. È come se cercassimo di seguire un film su uno schermo da un pixel. Abbiamo bisogno di inventare nuovi strumenti, sia ottici che elettronici. Dovranno venirci in aiuto nanoscienze, fisica, chimica e ingegneria. Solo così potremo allargare lo schermo e guardare il film per intero». Bill Newsome, neuroscienziato di Stanford, spiega che «uno dei metodi più usati prevede l’uso di minuscoli elettrodi inseriti nel cervello e capaci di registrare i segnali inviati da un neurone al suo vicino. Con questi strumenti possiamo seguire fino a cento cellule con la risoluzione di un millisecondo. Ma inserire un elettrodo nel cervello ha dei costi, e può causare reazioni immunitarie ». Negli uomini questi interventi vengono limitati ai casi gravi di epilessia che avrebbero bisogno comunque del chirurgo. «I metodi ottici — prosegue Newsome — sfruttano molecole fluorescenti che si “accendono” quando una cellula si attiva. Possiamo osservare in questo modo migliaia di neuroni contemporaneamente, ma solo in zone molto superficiali del cervello. La luce infatti penetra nel tessuto per poche centinaia di micrometri».
Ma non di soli micrometri (millesimi di millimetro) è fatto lo studio del cervello. Tecniche più “datate”, ma sempre molto usate come la risonanza magnetica, evidenziano quali aree si attivano mentre svolgiamo un certo compito. Sappiamo quali zone sono responsabili di vista, parola, locomozione, memoria e altre mille fantasiose attività. «Ma la risoluzione sia spaziale che temporale di questo strumento è davvero scarsa» nota Engert Florian, biologo cellulare di Harvard. Il “pixel” del nostro schermo in questo caso non ha più le dimensioni dei microme-tri, ma dei centimetri. E a mancare è proprio la via di mezzo. È come se per studiare una foresta intricata potessimo solo osservarla da un aereo — cogliendo la macchia di colore — oppure studiarla dal terreno, con lo sguardo che può abbracciare pochi alberi insieme. Quel che manca nella cassetta degli attrezzi degli scienziati è uno strumento per osservare la “giungla dei neuroni” in modo dettagliato e complessivo allo stesso tempo.
L’inadeguatezza dei mezzi non spaventa gli esploratori. Né fa breccia chi ricorda che la missione Apollo fu lanciata con ingegneria e tecnologie già in partenza sufficienti a sostenerne l’ambizione. A chi li accusa di fare il passo più lungo della gamba, i pionieri del cervello citano l’esempio del Cern di Ginevra. L’acceleratore di particelle che ha svelato il bosone di Higgs e che in un anno accumula tanti dati da riempire una pila di cd alta 20 chilometri fu progettato negli anni 90, quando i computer funzionavano con i floppy disc. «Il Progetto Genoma Umano — ricorda George Church di Harvard, uno dei principali ideatori dell’impresa varata da Obama — sarà anche costato tanto. Ma ci ha permesso di fare passi avanti talmente grandi che oggi il costo del sequenziamento del Dna si è ridotto di un milione di volte. E poi già ora per tutti i loro progetti di neuroscienze gli Usa spendono 5 miliardi di dollari l’anno».
Quasi a rispondere agli scettici, intanto, negli ultimi mesi gli scienziati si sono presentati con metodi freschi per penetrare i misteri del cervello. Ricerche indipendenti, condotte in tutto il mondo: progressi ancora insufficienti a garantire il successo alle imprese americana ed europea, ma che dimostrano come il campo delle neuroscienze abbia inserito con decisione la marcia avanti. All’università di Dusseldorf e al Centro di ricerche tedesco di Julich, per esempio, hanno scannerizzato un cervello umano post mortem con la risoluzione di 20 micrometri. Il loro modello tridimensionale è 50 volte più preciso rispetto alla versione precedente. Qualche anno fa si è poi scoperto come tingere di 90 colori le diverse cellule del cervello di un topolino. Il metodo Brainbow consente di studiare la distribuzione dei vari tipi di neuroni. Poche settimane fa è stato annunciata la tecnica Clarity. Consiste nello sciogliere i lipidi lasciando intatta l’impalcatura dei neuroni, rendendo il cervello “miracolosamente” trasparente e penetrabile dalla luce del microscopio.
Al Politecnico di Losanna che è capofila del progetto europeo, intanto, quattro calcolatori grandi come distributori di merende già lavorano simulando il funzionamento di un milione di neuroni di topo. Secondo il padre dell’iniziativa, Henry Markram, realizzare con il silicio un modello del cervello umano permetterà di simulare il funzionamento dei farmaci e l’andamento delle malattie, accelerando i tempi della ricerca medica. L’argomento — che è poi il cuore dell’iniziativa di Bruxelles — convince assai poco molti colleghi di Markram. Come diceva il Nobel della fisica Philip Anderson per smentire le tesi del riduzionismo, «a ogni livello di complessità nuove proprietà emergono » ed «è impossibile dedurre il comportamento di sistemi complessi solo estrapolando i tratti degli elementi semplici».
Il tentativo del nostro cervello di comprendere se stesso non rischia allora di farci somigliare al Barone di Munchausen, che voleva uscire dalla palude tirandosi su per il codino? «Ma no, non c’è nulla di soprannaturale nel cervello» replica Yuste. «Ci sono dei neuroni che trasmettono impulsi, e a volte lo fanno in modo scorretto. Capire come questo avvenga e trovare delle cure è un dovere nei confronti di milioni di pazienti».


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