Dalla fretta dell’ambasciata al jet privato Le troppe anomalie di un’operazione sospetta

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Pensavano di dover catturare un pericoloso latitante, e fin lì è andato tutto secondo le regole.
Poi, quando si sono trovati fra le mani la moglie e la bambina del ricercato uccel di bosco, quella regolarità sembra essersi interrotta. O meglio, tutto è stato fatto a norma di legge, ma senza dare il giusto peso alle irrituali pressioni dell’ambasciata kazaka e all’aereo privato messo a disposizione per il rimpatrio immediato di madre e figlia.
Un comportamento anomalo, quello dei diplomatici kazaki, che «avrebbe dovuto rappresentare elemento di attenzione tale da far valutare l’opportunità di portare l’evento a conoscenza del ministro». Cosa che non è avvenuta, dice il capo della polizia Alessandro Pansa a conclusione della sua relazione sul rimpatrio della moglie e della figlia del dissidente Muktar Ablyazov. Delle procedure di identificazione ed espulsione di Alma Shalabayeva e della piccola Alua, accompagnate dalla pressante insistenza con cui i gli uomini dell’ambasciata chiedevano di accelerarne tempi e modalità, i funzionari di polizia non hanno informato i vertici del ministero dell’Interno né quelli del Dipartimento della pubblica sicurezza. «È mancata l’attenzione a una verifica puntuale e completa su tutto il rapporto innescato dalle autorità diplomatiche kazake — scrive Pansa —, che avendo coinvolto direttamente il gabinetto del ministro avrebbero dovuto essere seguite in tutte le fasi del loro rapporto con gli organismi territoriali».
È stata un’operazione a cui «gli organi territoriali (cioè la Questura di Roma e il suo Ufficio immigrazione, ndr)hanno attribuito un mero valore di ordinarietà burocratica». Il capo della polizia offre una parziale giustificazione: «In nessuna fase della vicenda i funzionari italiani hanno avuto notizia alcuna sul fatto che Ablyazov, marito della cittadina kazaka espulsa, fosse un dissidente politico fuggito dal Kazakistan e non un pericoloso ricercato in più Paesi per reati comuni. In nessun momento è pervenuta o è stata individuata negli archivi di polizia informazione che rilevasse lo status di rifugiato dello stesso Ablyazov».
Fatta questa premessa, la solerzia dell’ambasciata doveva forse suggerire qualche ulteriore riflessione e prudenza. E comunque un contatto con il Dipartimento e il ministero anche nella fase del rimpatrio che invece, secondo la relazione, non è avvenuto. «Il questore di Roma — riferisce Pansa — afferma di non aver dato informazione al Dipartimento perché consapevole che lo stesso Dipartimento fosse direttamente informato dagli stessi uffici della questura… Il prefetto Valeri (capo della segretaria del Dipartimento, ndr) ha memoria solo delle informazioni relative alla fase di polizia giudiziaria (dunque la tentata cattura del latitante, ndr), ma non ricorda quando ha appreso dell’espulsione della donna e delle sue modalità esecutive. Il dirigente dell’Ufficio immigrazione, che ha mantenuto i rapporti con gli organismi investigativi di squadra mobile e Digos, non ha attivato canali autonomi di informazione né nei confronti del questore del Dipartimento, non avendo percepito la straordinarietà con cui l’espulsione è stata eseguita».
La manovra dei kazaki
Il punto nodale di una vicenda che dal possibile brillante arresto di un ricercato internazionale s’è trasformata in una sorta di rendition assistita della moglie, resta sempre lo stesso, anche all’esito dell’inchiesta del capo della polizia: perché la inusuale solerzia dei diplomatici kazaki non ha mai destato sospetti o perplessità? Un atteggiamento atipico che comincia a svelarsi nel primo pomeriggio di martedì 28 maggio, quando l’ambasciatore del Kazakistan in Italia Adrian Yelemessov, dopo aver tentato di contattare «senza esito» il ministro dell’Interno, «viene ricevuto dal capo della squadra mobile e consegna un appunto informale con il quale mette al corrente che a Roma, in una villa a Casal Palocco, aveva trovato rifugio, unitamente alla moglie Shalabayeva Alma, il latitante kakazo Muktar Ablyazov, ricercato in ambito internazionale per truffa e associazione criminale». Notizia confermata dall’Interpol di Roma, che la mattina dello stesso giorno aveva ricevuto da Astana, capitale del Kazakistan, notizie che Ablyazov era ricercato anche in Russia e in Ucraina.
Solo in serata, «a seguito di ulteriori telefonate dell’ambasciatore cui non ha risposto», Alfano «fa incontrare» Ablyazov col suo capo di gabinetto Procaccini, e col segretario del Dipartimento di Ps Valeri; quest’ultimo informa i vertici della polizia fino al vice capo vicario Marangoni. Poche ore più tardi, tra la notte e l’alba, avviene l’irruzione nella villa, ma prima gli uomini della Mobile e della Digos avevano accertato che intorno all’abitazione c’erano tre dipendenti di un’agenzia di investigazione privata che avevano raccolto notizie sul latitante, richieste da un cittadino israeliano presentatosi come Amit Forlit.
Nella casa di Casal Palocco, Ablyazonv non c’è. Tra i sette stranieri presenti ci sono Alma Ayan (così di presenta la moglie di Ablyazov, esibendo un passaporto diplomatico della Repubblica centroafricana «palesemente contraffatto») e la figlia Alua. La madre viene portata al centro di identificazione di Ponte Galeria, dove vengono avviate le procedure per l’espulsione, se sarà certificata la «clandestinità» della donna. Il giorno dopo la Procura dei minori affida la figlia Alua ai domestici; quando la riaccompagnano a casa, gli agenti della Mobile trovano due impiegate di una società d’investigazione privata che dicono di «essere state incaricate dall’avvocato Riccardo Olivo (legale della signora Shalabayeva, ndr) di vigilare sulla sicurezza di cose e persone».
Il volo privato
Il giorno dopo l’ufficio immigrazione guidato dal dirigente Maurizio Improta comunica al consigliere dell’ambasciata kazaka che la donna sarà rimpatriata con un volo di linea via Mosca, ma il diplomatico comincia ad agitarsi: «Rappresenta il timore che un transito a Mosca possa diventare l’occasione per un attacco organizzato dal ricercato (cioè Ablyazov, ndr), per liberare la moglie e la figlia, e pertanto offre genericamente la possibilità di un volo diretto vero Astana».
È la conferma che Alma Alua e Alma Shalabayeva sono la stessa persona, informazione che l’ambasciata formalizzerà solo l’indomani, 31 maggio. Giorno in cui la Mobile effettua una seconda perquisizione nella villa, per cercare un eventuale nascondiglio sotterraneo. Trovano solo 50.000 euro in contanti, carte di credito, gioielli e computer per accedere a conto bancari. Una delle investigatrici private riferisce di essere stata incaricata di svolgere «indagini difensive nell’interesse di due cittadini del Kazakistan ivi dimoranti». Nelle stesse ore la procedura di espulsione va avanti, con ulteriore sollecitazioni del consigliere d’ambasciata Khassen, nel «fortissimo timore per una eventuale azione di forza presso il Cie di Ponte Galeria volta a liberare la Shalabayeva».
I servizi di sorveglianza vengono rafforzati, mentre «il diplomatico offre la possibilità di un volo diretto verso la capitale del Kazakistan, in partenza da Ciampino alle ore 17; la soluzione prospettata e le preoccupazioni manifestate portano il dirigente dell’Ufficio immigrazione ad aderire all’offerta».
La consegna in Italia
Alle 15.30 la Procura ordina di «sospendere le procedure d’espulsione per necessità di approfondimenti». Il tempo di verificare ulteriormente che il passaporto diplomatico era falso e un’ora e mezza dopo, alle 17, «conferma il “nulla osta” al rimpatrio». Anche il tribunale dei minori autorizza il ritorno a casa della piccola Alua, e così madre e figlia vengono portate a Ciampino e «affidate» ai diplomatici kazaki «presenti presso l’aeroporto».
Secondo quanto riferito da Improta, «in effetti la consegna alle autorità consolari invece di avvenire alla discesa dell’aereo in Astana, è stata effettuata, sempre alle autorità consolari, in partenza da Roma». È un’ulteriore «modalità straordinaria» che caratterizza questa vicenda. Improta spiega anche che dell’uso del jet privato non aveva informato i suoi superiori «non essendogli stato specificato dal consigliere dell’ambasciata kazaka che il volo fosse appositamente stato predisposto» per il rimpatrio di Alma Shalabayeva. Madre e figlia salgono su un jet battente bandiera austriaca alle 18.20, alle 19 l’aereo si stacca da terra. Missione kazaka compiuta.
A parte negare le percosse durante l’irruzione nella villa, la relazione del prefetto Pansa smentisce che la Shalabayeva abbia chiesto ai poliziotti di non essere espulsa, «invocando asilo politico», come sostenuto dai suoi avvocati. Agli atti è allegata la relazione dell’assistente di ps Laura Scipioni «che nega di aver ricevuto alcuna istanza, anche verbale, di asilo, pur confermando che la donna le aveva esposto i contrasti del marito con il governo kazako».
In sostanza, conclude il capo della polizia, il raggiro messo in piedi dai diplomatici del Kazakistan avrebbe avuto buon esito perché chi ha proceduto all’espulsione della moglie del dissidente non si è reso conto di quello che stava facendo. Preoccupandosi di informare i vertici del ministero dell’Interno «solo all’eventuale cattura del latitante, e non dell’insieme dell’operazione».


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