Derivati, la Ue contro tredici grandi banche

by Sergio Segio | 2 Luglio 2013 7:32

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MILANO — L’Antitrust europeo accusa di cartello 13 fra le principali banche d’affari per non fare entrare Deutsche Boerse e Chicago Mercantile Exchange nel lucroso mercato dei Cds (le polizze contro il rischio di fallimento di un emittente). Dopo un procedimento di due anni, e che risale al periodo 2006-2009, la Commissione ha trovato evidenze che «le banche agivano collettivamente per tenere altri operatori fuori dalle piattaforme di scambio regolamentate, perché temevano che ciò avrebbe ridotto i loro profitti come intermediari nel mercato over the counter», che è bilaterale e di regolamenti ne utilizza ben pochi, tranne un contratto tra le due parti. Per il commissario alla concorrenza tale ipotesi è «inaccettabile ». Per le banche, che non commentano (mentre Isda, che raggruppa gli operatori in derivati, si dice «fiduciosa perché ha sempre agito correttamente») il procedimento potrebbe chiudersi con una multa fino al 10% del fatturato. Sarebbe un assegno rilevante, anche perché entro fine 2013 Almunia conta di concludere anche l’indagine sulla manipolazione dei tassi Libor-Euribor, con accusate alcune delle stesse banche.
L’affaire derivati riguarda Bofa Merrill Lynch, Barclays, Bear Stearns, Bnp Paribas, Citigroup, Credit Suisse, Deutsche Bank, Goldman Sachs, Hsbc, Jp Morgan, Morgan Stanley, Rbs, Ubs, più Isda e Markit (che a New York fornisce indici e stanze compensative sul mercato dei credit default swap, un moloch che da inizio anno ha totalizzato 2 milioni di contratti per 10mila miliardi di valore nozionale). Agli inquirenti risulta la sigla di intese e di istruzioni illegali, impartite nelle riunioni di Isda e Markit dove le banche comandano, per non fornire le licenze e le informazioni necessarie alle due Borse concorrenti, e tenere i Cds fuori dalle piattaforme regolamentate.
Le licenze furono negate, permettendo e Deutsche Boerse e Cme di operare solo sui mercati non regolamentati (Otc). È lì che negli anni a cavallo della crisi subprime, quando sono esplosi i rischi di default in tutto il mondo, venivano montate quasi tutte le coperture in Cds. E le banche d’affari hanno fatto ottimi profitti, frapponendosi tra domanda e offerta: compravano da ogni venditore, vendevano a ogni acquirente, tenendo alti costi e opacità. Una piattaforma tipo Borsa, invece, fa operare in un ambiente regolato, con prezzi più efficienti e meno rischi sistemici. Peraltro la direttiva Emir, da poco avviata — anche per la recalcitranza delle lobby bancarie — e a regime nel 2014, prevede l’introduzione di camere compensative, obblighi di registrazione e mark to market giornaliero per i derivati.
Anche la Corte dei conti giovedì scorso ha raccomandato, a Tesoro ed enti pubblici più trasparenza sui contratti a regolazione futura. «Il caso Morgan Stanley (che nel gennaio 2012 chiuse uno swap costato al Tesoro 3,1 miliardi, ndr) dimostra che è indispensabile assicurare la massima trasparenza sul portafogli derivati, sulla struttura dei contratti e le controparti, sui valori di mercato — ha detto il procuratore generale Salvatore Nottola — poiché non c’è una normativa specifica sugli obblighi di informativa e trasparenza, tutto ciò comporta la necessità che la materia sia valutata nelle sedi politiche competenti».

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