Egitto, nuove elezioni entro sei mesi
IL CAIRO — Sei giorni dopo aver deposto il presidente islamista Mohammed Morsi il nuovo corso egiziano garantito dai militari è finalmente riuscito a trovare un’intesa sul nome del nuovo primo ministro. Dopo i veti che avevo bloccato Mohammed el Baradei prima e Bahaa El Din dopo, si è trovato l’accordo su Hazem el Beblawi, un economista socialdemocratico che è già stato brevemente ministro nel 2011, che ha già giurato nelle mani del presidente ad interim Adly Mansour. Il premio Nobel per la pace El Baradei è stato invece nominato vicepresidente con la delega per relazioni internazionali, un nome di prestigio per un ruolo decisivo per il destino degli aiuti internazionali di America e Europa, continenti dove l’ex direttore dell’Aiea ha molti estimatori. Tirano un sospiro di sollievo gli Stati Uniti. La Casa Bianca è «cautamente incoraggiata» dalla roadmap proposta dal governo ad interim per arrivare alle prossime elezioni parlamentari e presidenziali entro sei mesi. In nome del dialogo Beblawi ha poi teso la mano alla Fratellanza, annunciando che «nessuna parte sarà esclusa» dall’esecutivo, che dovrà lavorare per «raggiungere gli obiettivi della rivoluzione egiziana, portando il paese dall’abisso attuale a una nuova fase di sicurezza e stabilità».
A far discutere è la Costituzione temporanea varata l’altra notte da Mansour che resterà in vigore per almeno sei mesi, fino alle elezioni presidenziali da convocare dopo l’insediamento del nuovo Parlamento. Il testo, che lascia poteri molto ampi al presidente e delinea le scadenze della transizione, è stato subito bocciato dalla Fratellanza. Per Essam al-Eriam, vice presidente del Partito Libertà e Giustizia, braccio politico del movimento islamista, si tratta di un «decreto costituzionale formulato da un uomo nominato dai golpisti», che «riporta il Paese alla casella di partenza». Ma critiche alla dichiarazione costituzionale sono venute anche dal movimento dei Ribelli di Tamarod che nelle prossime ore presenterà alcuni emendamenti. Il portavoce, Mahmud Badr, ha fatto filtrare i malumori del gruppo che raccoglie le forze laiche e liberali, che non ha gradito la mancata consultazione preventiva, pur riaffermando l’impegno per il successo della transizione.
A questa «delicata transizione» è stata dedicata anche la dichiarazione dell’Esercito letta ieri in diretta tv che suona come un monito alla Fratellanza. Le forze armate hanno avvertito che la Costituzione temporanea varata dal presidente ad interim deve essere rispettata da tutti e hanno messo in guardia da ogni tentativo di ostacolare la «difficile e complessa» transizione in corso nel Paese. Mentre andava in onda l’avvertimento dell’Esercito diverse migliaia di sostenitori dei Fratelli musulmani si stavano riunendo davanti alla moschea Rabaa al-Adawiya, a Nasr City, la zona teatro l’altra
mattina della strage con 54 morti e seicento feriti durante l’assalto al comando della Guardia repubblicana. E altre manifestazioni si sono svolte in altre città egiziane senza incidenti, ma non sono state certo quelle «marce di milioni di martiri» che chiedevano i leader islamisti.
Al Cairo ieri — vigilia del Ramadan che inizia all’alba di oggi in tutto il mondo arabo — la piazza degli islamisti sembrava lontana e isolata. Dopo «i dieci giorni che hanno sconvolto l’Egitto», la gente ha voglia di normalità. Lunghe le file nei negozi e nei mercati, gli ultimi acquisti per l’iftar, la cena tradizionale che al tramonto di oggi romperà il digiuno. Stanno facendo più affari i venditori di fanous, le tradizionali lanterne per il Ramadan, che non quelli che vendono le foto del generale Abdel Fattah al Sissi, il nuovo “uomo forte”, garante di questa delicata transizione. L’Egitto sembra già aver voltato pagina, ieri la Borsa ha registrato un balzo record nella speranza di una ripresa e stabilità dell’economia. Nelle casse egiziane stanno poi per arrivare 8 miliardi di dollari, generosi aiuti di Arabia saudita e degli Emirati, che scommettono su questo “nuovo corso” laico — corretto dai militari — invece che sui “fratelli”, governanti falliti del paese dei Faraoni.
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