Gli Eurotiepidi

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ZAGABRIA. Le note dell’Inno alla Gioia salgono verso il cielo di Zagabria, stellato come la bandiera della Ue. Nessuno ci avrebbe scommesso un euro. Eppure, alla faccia di Cassandre e mercati, l’Europa ha celebrato alla mezzanotte di ieri un mezzo miracolo: il vecchio continente — a quattro anni dall’inizio della crisi dei debiti sovrani — è ancora intatto. Di più: la famiglia, malgrado tutto, si allarga. Alle 23.55 sono stati smantellati i sigilli della dogana ai valichi di Bajakovo e Bregana, al confine con la Slovenia. E cinque minuti dopo, accompagnata dalla musica di Beethoven e da una grande festa nel cuore della capitale, la Croazia è diventata il 28esimo membro dell’Unione. Applaude dalla tribuna d’onore di fronte all’orchestra il presidente della Repubblica Ivo Josipovic: «Abbiamo alle spalle un passato tragico — dice — e l’ingresso nella Ue garantisce pace e stabilità alle prossime generazioni». «Sarete un esempio per gli altri paesi della regione», gli fa eco José Manuel Barroso.
Saltano i tappi di champagne, esplodono i fuochi d’artificio sopra le guglie della Cattedrale. Ma Goran Budimir, seduto tra la folla sotto la statua equestre di Ban Jelacic, ha (come molti da queste parti) poca voglia di festeggiare. L’euforia di dieci anni fa — quando il 90 per cento dei croati voleva entrare in Europa e Bruxelles archiviava decenni di guerra fredda accogliendo i primi paesi ex-comunisti — è solo un ricordo.

«La Ue allora era un’altra cosa — dice con nostalgia il 28enne dipendente delle poste — . È dal 2003 che aspettiamo con impazienza questo treno. E ora che è arrivato, nessuno è convinto che sia quello giusto ».
Mettersi le bende sugli occhi è difficile per tutti. Qualche centinaio di chilometri in linea d’aria più a sud c’è la Grecia. E chi sperava che l’Unione fosse la panacea di tutti i problemi — anche al netto delle tensioni dei Balcani — ha già perso un bel po’ delle sue illusioni. «Cosa cambierà domani per me? Niente» confessa Ljubica Loncar, che come decine di donne della capitale sbarca il lunario lavorando l’orto all’alba e poi vendendo porta a porta insalata e verze. L’euroentusiasmo — malgrado le fanfare pro-Ue del centrodestra prima e del centrosinistra ora — è diventato un disincantato euroscetticismo, figlio di un’economia sull’orlo del ko: il pil croato è in calo da 4 anni, la disoccupazione è al 21,7 per cento due punti in più del 2012. «E l’unico effetto tangibile della Ue sulla mia vita è l’aumento del 25 per cento della bolletta della luce per la liberalizzazione dell’elettricità», ride Ljubica. Risultato: al referendum di inizio 2012 i “sì” all’adesione sono stati il 66,2 per cento. Ma solo il 43,51 per cento degli aventi diritto si è presentato alle urne, malgrado il pressing della Chiesa Cattolica favorevole a sganciare il paese dalle sirene multi-religiose dei Balcani. Se si votasse oggi — secondo un recente sondaggio — il numero dei favorevoli si ridurrebbe al 39 per cento. E nessuno, per dire, parla più di sostituire a breve la kuna con l’euro.
L’Europa, insomma, tira poco anche tra le new entry.
E le polemiche tra neo-partner di queste ore non aiutano certo a rasserenare il clima. «Roma e Zagabria hanno davanti un futuro comune» ha scritto ieri sul Piccolo il presidente Giorgio Napolitano, presente a Zagabria con il ministro degli Esteri Emma Bonino. Peccato che l’Italia, primo partner commerciale della Croazia, abbia appena alzato il tiro contro il “Proshek” un vino liquoroso della Dalmazia, chiedendo che cambi nome per non danneggiare le bollicine del nostro Prosecco. Mentre il governatore del Veneto Luca Zaia, in un sussulto proto-leghista, ha chiesto una «moratoria di civiltà» contro la libera circolazione dei lavoratori croati in Veneto.
Lo schiaffo che ha fatto più male da queste parti è stato però quello (doppio) arrivato dalla Germania, legata da storici legami con il paese. «Non vi costeremo niente, non falliremo e non siamo la Grecia», aveva messo le mani avanti con discutibile diplomazia il premier Zoran Milanovic per stemperare i dubbi teutonici sul 28esimo membro. È servito a poco: prima la Bild — con la sua tradizionale sobrietà — ha definito la Croazia «terra di corruzione, debito e disoccupazione», etichettandola come «il prossimo buco nero in cui spariranno i miliardi dell’Europa». Poi, ciliegina sulla torta, è arrivata la mancata partecipazione di Angela Merkel alla festa di ieri notte. «Troppi impegni », hanno spiegato a Berlino. Ma il tam tam sulle rive della Sava parla di una rappresaglia legata alla mancata estradizione di Josip Perkovic, ex agente segreto considerato un eroe da queste parti ma accusato dai tedeschi di aver assassinato a Monaco nel 1983 un esule croato.
«Sono nubi passeggere — dice Furio Rabin, deputato al Parlamento di Zagabria come rappresentante della Comunità nazionale italiana — . Certo oggi prevale la diffidenza. Ma con l’Europa arriveranno anche fondi e aiuti. Se il vecchio continente uscirà dalla crisi, allora anche la Croazia starà meglio e i dubbi spariranno». Il guaio è che nel breve Bruxelles rischia di creare più problemi di quelli che è in grado di risolvere. Ok, tra il 2014 e il 2020 su questo fazzoletto di Balcani pioverà oro, sotto forma di 11 miliardi di euro di Fondi Ue. L’adesione all’Unione obbligherà però il paese a uscire dal Central European free trade agreement, facendo scattare dolorosissimi dazi sul 21 per cento delle sue esportazioni, quelle verso Russia e centro Europa. Non solo: appena accolta nella Ue, Zagabria entrerà subito nel girone dei dannati “sotto procedura d’infrazione” visto che il suo rapporto deficit/pil è al 4,7 per cento. E Bruxelles potrà intervenire per imporre nuove misure d’austerity e tagli al welfare. Tema delicatissimo in un paese dove il 60 per cento delle persone prende uno stipendio dallo stato e 500mila, su 4,4 milioni di abitanti, ricevono in qualche forma sussidi legati alla guerra civile degli anni ‘90.
«Pensavo di entrare in un’unione dei diritti — scherza (ma non troppo) Radoslav Belas, 21enne studente di scienze sociali all’antica università locale — e invece per ora vedo solo i doveri». Rischia di andare ancora avanti così per un po’: «La Croazia deve snellire la sua burocrazia e ci sono ancora molti passi avanti da fare sul fronte della corruzione», dicono a Bruxelles. Il paese è all’84esimo posto — vale a dire molto indietro — nella classifica della Banca Mondiale delle nazioni più attrattive per gli investimenti esteri. E Transparency International l’ha messo al quint’ultimo posto Ue (meglio solo di Romania, Bulgaria, Grecia e, ahinoi, Italia) tra quelli più corrotti. «È un’eredità del vecchio sistema socialista, qui da noi ci sono ancora tante cose che si aggiustano solo con la spinta o la bustarella giusta» ammette Belas. L’arresto dell’ex premier Ivo Savater, condannato a dieci anni per mazzette, è stato per molti solo uno «specchio per le allodole » mentre in realtà le cose «vanno avanti come prima», assicura Radoslav.
Sono tempi duri. La crisi fa guardare all’Europa solo con le lenti un po’ strabiche dell’economia, non facendole — come ovvio — un grande servizio. E così ci si dimentica quello che l’Unione può fare, ad esempio, per rimarginare le cicatrici freschissime della guerra. «Saremo un ponte per l’area balcanica», dice il premier Milanovic. Bruxelles, con un gesto simbolico, ha anticipato in questi giorni l’avvio dei negoziati per l’ingresso della Serbia. Si vedrà. Per ora qui, tra i palazzi austeri e la musica di Trg Bana Jelacica, Zagabria balla, applaude e festeggia. Tra poche ore arriverà la prima alba europea della Croazia. Questa è la notte dell’Inno alla Gioia. Ai dolori c’è sempre tempo per pensarci domani.


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