Il Colle e l’ipotesi della grazia: analfabetismo istituzionale

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ROMA — L’ipotesi era talmente sgangherata che ieri mattina al Quirinale non volevano neppure sentirne parlare. Infatti — si obiettava — che cosa si potrebbe replicare a chi evoca la grazia per un imputato addirittura prima ancora di una condanna definitiva? Si pensa magari che, dandola per una decisione già presa (e persino anticipata al capo del governo che, richiesto di un parere, avrebbe risposto con un silenzio-assenso), sia possibile rendere inutile il terzo grado di giudizio e impedire qualsiasi sentenza? Davvero chi almanacca da un paio di giorni su tutto ciò, sparando in prima pagina un retroscena senza condizionali e attribuendogli dunque un valore di verità, ignora le regole che presiedono ai provvedimenti di clemenza? No, siccome l’intera faccenda è priva di senso, meglio ignorarla. Così dicevano dal Colle. Senonché, contro ogni aspettativa del presidente della Repubblica e del suo staff, il «piano di salvataggio» per Silvio Berlusconi lanciato e rilanciato con toni che non ammettevano smentita dal quotidiano Libero , è via via lievitata sui siti Internet e nel dibattito politico. Rischiando di trasformare in una «notizia» quello che giovedì era stato buttato lì con i toni di un appello: «Solo Napolitano può salvare la democrazia con un’iniziativa straordinaria ad personam». E ventiquattr’ore più tardi l’annunciata «iniziativa» diventava una cosa fatta. Con il sottinteso che, azzardiamo a nostra volta, nel caso la Cassazione confermasse la condanna al Cavaliere, qualora il capo dello Stato torni sui suoi passi e archivi la scelta della grazia, lo si potrebbe tranquillamente accusare di essere succube dei giudici e della sinistra giacobina. In quanto tale, pronto ad avallare il «golpe giudiziario» su cui da sempre recrimina il centrodestra quando si tratta di rafforzare la strategia vittimistica del proprio leader, alimentando un cortocircuito permanente.

Ecco l’intuibile logica politica, se davvero in tutto questo una logica c’è. Una menzogna reiterata in maniera insopportabile, per Napolitano. Al punto che, per spegnere l’incendio, a tarda sera ha voluto intervenire personalmente. Con una nota informale di una durezza rara, per il suo lessico: «Queste speculazioni su provvedimenti di competenza del capo dello Stato in un futuro indeterminato sono un segno di analfabetismo e sguaiatezza istituzionale». Di più, «danno il senso di un’assoluta irresponsabilità politica che può soltanto avvelenare il clima della vita pubblica». Insomma: l’idea della grazia a Berlusconi agitata ad arte (e in chiave preventiva) è per lui «una delle abituali provocazioni di certi giornali che, per la loro sguaiatezza e rozzezza dal punto di vista istituzionale, non meritano alcuna attenzione e alcun commento».

Basta così? Affatto. Libero torna a incalzare in tempo reale e, nonostante sia evidente che in questo affaire politico-mediatico mancano le condizioni minime per una misura di clemenza (perché servono una condanna definitiva, un’istruttoria del ministro della Giustizia, un inizio di espiazione della pena, un parere favorevole degli organi penitenziari o dei servizi sociali, ecc.), «ribadisce la propria linea: fonti vicine al Quirinale, altrettanto credibili, confermano che l’ipotesi grazia è sulla scrivania del Colle… Impossibile però parlarne ora, perché il rischio di condizionare l’attività politica e giudiziaria da qui al 30 luglio è alto. Napolitano studierà la pratica solo la sera del prossimo 30 luglio». Laconica, ma inequivocabile, la controreplica del Colle: «Si smentisce nel modo più assoluto che ci siano sulla scrivania del presidente pratiche immaginarie come quella descritta». Sarà davvero finita qui?

 

Marzio Breda


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