Il dramma dell’immigrazione entra al museo

by Sergio Segio | 13 Luglio 2013 8:51

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CAMIGLIATELLO SILANO (Cosenza) — Otto anni fa era nato nel parco nazionale della Sila, tra i pini larici di Calabria, il primo Museo narrante dell’emigrazione. Da ieri «La Nave della Sila» ha una sezione in più: si chiama «Mare Madre, i popoli si muovono», ed è dedicata ai migranti che attraversano il Mediterraneo da Sud a Nord. Un viaggio all’incontrario in questa regione che nei secoli scorsi ha visto partire per terre lontane il suo popolo in cerca di fortuna e dove adesso, invece, si vedono spuntare madri, bambini, neonati, uomini con il viso segnato dalla sofferenza, che arrivano dai paesi africani, dopo un viaggio estenuante, con la speranza di trovare in una terra a loro sconosciuta una condizione di vita più umana. È la voce narrante di Erri De Luca, autore tra l’altro di «Cimitero di Lampedusa», che proietta il visitatore in questo percorso della durata di otto minuti, dove immagini e suoni accompagnano le storie dei migranti.
Per documentare le loro vicende la Fondazione Napoli Novantanove, presieduta da Mirella Barracco, ha scelto di portare i visitatori dentro un container, ambiente museale inedito, e simbolo delle traversie umane. Perché anche in quelle scatole destinate a spostare merci a volte si svolge la dolorosa traversata nel deserto dei migranti. Una fatica immane senza acqua né cibo, che spesso si conclude con la morte. «Questa scelta dimostra la nostra volontà di impegno continuo e di azione sul territorio a partire, come nostra abitudine, dalle scuole», ha detto la Barracco.
Il percorso della nuova sezione inizia con l’arrivo della prima nave, la Vlora, al porto di Bari nel 1991: ventimila profughi sbarcarono in Italia dall’Albania, il più grande arrivo di rifugiati mai avvenuto nel nostro Paese.
Ieri e oggi. Emigrazione dall’Italia e per l’Italia. «Nave della Sila» e «Mare Madre». Ecco il primo tentativo di raccontare l’emigrazione italiana in un’ottica non regionale. Nella ricostruzione di quella che fu la grande epopea dei nostri emigranti, la scelta di aggiungere quel container e descrivere gli arrivi in Calabria dei profughi del terzo millennio è la volontà di trovare un anello di congiunzione tra presente e passato. Quando, per esempio, furono gli italiani a fare la fortuna degli Stati Uniti dopo la crisi del ’29, pur sfruttati come accade oggi per gli immigrati che lavorano a Rosarno o a Villa Literno.
Il nuovo Museo è l’occasione per far conoscere e prendere coscienza di un fenomeno che non è più trascurabile e del quale nessuno più s’indigna. Lo stesso Papa Francesco nei giorni scorsi lo ha ribadito nel suo viaggio a Lampedusa: «Siamo incapaci di piangere per le vittime».
Una delle otto sezioni che descrivono il viaggio della speranza riguarda i campi di detenzione in Libia. È qui che spesso i migranti sono vittime di soprusi da parte di forze di polizia corrotte e contrabbandieri.
Pronti a vendere come merce di scambio uomini e donne, che dopo essersi privati di ogni bene, per raggiungere le coste del Mediterraneo, finiscono reclusi. Un viaggio nel buio in un’atmosfera suggestiva accompagna il visitatore dentro il container, e lo rende quasi protagonista di un percorso che attraversa il mare per giungere sino alle nostre coste. Il mare, che diventa spesso cimitero senza nomi, è l’ultima tappa del viaggio. Per alcuni è il lieto fine, per altri si trasforma in una nuova odissea che si chiama espulsione.
Carlo Macrì

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