Il lavoro del Colle per arrivare alla tregua sofferta

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ROMA — «E adesso come farà a partire, il presidente, con quel che succede? Come farà a prendersi un po’ di riposo proprio in un simile momento?» Così, quarantott’ore fa, dopo l’annuncio che la Cassazione aveva fissato al 30 luglio l’udienza sulla condanna Mediaset a Berlusconi, qualche consigliere del Quirinale si chiedeva se davvero Giorgio Napolitano avrebbe potuto anticipare le vacanze di una decina di giorni. Niente di mondano o di esotico: un paio di settimane al fresco della Val Fiscalina, in Alto Adige, con inizio tra il 18 e il 20 luglio. Un programma che, stando ai timori serpeggiati l’altra sera sul Colle, rischiava di saltare per l’alta tensione calata sull’esecutivo a causa del nuovo appuntamento giudiziario del Cavaliere (un fortissimo shaking , secondo le agenzie internazionali), per la minaccia di dimissioni in massa dei parlamentari del Pdl, accompagnata dalla richiesta di bloccare per tre giorni i lavori delle Camere. E per le polemiche, l’insofferenza, le dissociazioni, le fratture, il caos in aula che hanno contagiato gli altri partiti.

Si era insomma al limite della rottura politico istituzionale, in una situazione di estremo allarme che avrebbe potuto uscire da ogni controllo e sfociare addirittura in una devastante crisi di governo. Ciò che giustificava l’allarme del capo dello Stato. Il quale, però, in coerenza con il suo carattere sorvegliato, non ha perso la calma, né martedì né ieri. Del resto, quando tutto è in fibrillazione, bisogna pure che qualcuno se ne stia fermo, senza passi convulsi o scatti emotivi, e cerchi di decongestionare il clima non guadagnando tempo con l’inerzia, ma tirando i fili che ha a portata di mano.

È esattamente quello che Napolitano ha fatto. In primo luogo, ha distribuito qualche consiglio al premier Enrico Letta. Il quale ha preso l’iniziativa e, affiancato da Franceschini, già in mattinata aveva raffreddato le smanie per una diserzione aventiniana che animavano il centrodestra, ottenendo che la pretesa «pausa parlamentare» fosse ridotta a poche ore e non si trascinasse per tre inaccettabili giorni. Con questa mediazione, almeno, non si è usciti dalla fisiologia democratica (perché di quel tipo di pause brevi ci sono infiniti precedenti), la maggioranza non si è spaccata e la pur fragile stabilità per la quale il presidente si spende di continuo, almeno per il momento è preservata.

L’altra mina era stata innescata dal Movimento 5 Stelle, e a neutralizzarla ha provveduto lo stesso capo dello Stato. L’udienza al Quirinale degli «stellati» era stata annunciata con il tambureggiante accompagnamento di manifestazioni di piazza che per fortuna non hanno assunto un valore simbolico anti-istituzionale insopportabile, per il padrone di casa. E ciò ha permesso che il colloquio con Beppe Grillo, i suoi capigruppo e Casaleggio assumesse toni più o meno normali. Di reciproco rispetto. Con qualche momento di fair play e qualche ironia, persino. Certo, il cahier de doléances presentato dai leader del movimento era effettivamente un desolato e drammatico bollettino di guerra. Tuttavia, recriminazioni sulla eccessiva subalternità del Parlamento, sui morsi della crisi nel nostro tessuto imprenditoriale, sull’acuto disagio sociale, sulle ricadute di una legge elettorale pessima e unanimemente rinnegata, ne ha fatte pure lui. Moltissime volte. In qualche caso esprimendosi con un linguaggio inaspettato, duro e pietroso, come si è visto nel discorso d’insediamento per il secondo mandato.

Di tutto questo, Napolitano ha parlato — al Paese e al mondo politico — fino a sgolarsi. Senza trovare ascolto. Senza potersi spingere oltre i poteri di «stimolo, consiglio e ammonimento» disegnati dalla Costituzione per il suo ruolo. Si farà sentire ancora, presto: il 18 luglio, durante la cerimonia del Ventaglio, nel canonico bilancio politico-istituzionale di metà anno.

Per intanto, ciò che nella logica del Quirinale conta è che la curva più impervia affrontata dal governo, e sulla quale era alto il rischio di una rovinosa caduta, sia stata superata. Merito anche di Enrico Letta. Il capo dello Stato ha apprezzato la fermezza serena di quando ieri pomeriggio si è presentato a Montecitorio, primo presidente del Consiglio a farlo da sei anni a questa parte, per rispondere al question time , mentre fuori ancora era in corso la protesta. Un’immagine di per sé riconciliante, in una giornata convulsa, nella quale echeggiava perfino la notizia che i bookmaker internazionali ormai puntano sulla fuga all’estero di Berlusconi, sull’eclissi del suo partito, sull’inevitabile crollo dell’esecutivo e sul ritorno alle urne in autunno. Un azzardo assoluto, bisogna dire. Infatti, Napolitano, custode delle larghe intese e Lord Protettore di questo governo, farà di tutto per evitare una crisi. Sia per le inevitabili ripercussioni di un simile esito sul fronte economico, sia perché votare ancora una volta con il Porcellum equivarrebbe al suicidio della politica e della stessa democrazia.

Marzio Breda


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