Il tribunale: Shalabayeva, la polizia commise errori

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ROMA — Il giudice di pace «è stata tratta in inganno dalla polizia che non le ha trasmesso atti fondamentali per identificare la signora Alma Shalabayeva. In questa vicenda ci sono state anomalie e omissioni nell’attività dei funzionari che ho già segnalato al procuratore». È un atto di accusa grave e pesantissimo quello del presidente del tribunale di Roma Mario Bresciano. Al termine dell’ispezione sollecitata dal ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri, l’alto magistrato «assolve» il giudice che convalidò il trattenimento della signora nel Centro di espulsione di Ponte Galeria, fornendo così il via libera alla sua espulsione. Ma decide di trasmettere il fascicolo al capo dei pubblici ministeri evidenziando «il fumus di possibili reati di chi gestì la procedura». E dunque sollecitando l’apertura di un’indagine.

Non usa mezzi termini Bresciano per ricostruire quanto accaduto. E spiega: «Nel lavoro della dottoressa Stefania Lavore non ho riscontrato alcuna irregolarità, anzi. Non posso negare che un togato con maggiore esperienza avrebbe potuto accorgersi delle tante stranezze, ma questo non inficia assolutamente quanto è stato fatto. Il comportamento della giudice è stato ineccepibile. L’ho scritto nella relazione che ho trasmesso al ministro. Non altrettanto si può dire della polizia che certamente ha agito con una fretta insolita e anomala. Ma soprattutto ha tenuto per sé delle informazioni preziose».

Il problema è noto. Durante l’irruzione nella villetta di Casal Palocco la signora consegnò agli agenti della squadra mobile un passaporto rilasciato dalla Repubblica Centroafricana intestato ad Alma Ayan che attestava anche il riconoscimento dell’immunità diplomatica. Fu ritenuto falso, tanto che la donna fu denunciata proprio per aver presentato un documento di identità contraffatto. Il dirigente dell’Uffico immigrazione Maurizio Improta chiese notizie al cerimoniale della Farnesina e la risposta del responsabile Daniele Sfregola escluse che la signora potesse avere questa prerogativa: «Si comunica che la nominata non gode dello status diplomatico-consolare nella Repubblica italiana».

Nulla fu invece richiesto riguardo alla vera identità della donna, nonostante le sue generalità fossero state comunicate con una nota ufficiale del 28 maggio trasmessa dall’ambasciata kazaka alla questura di Roma al momento di sollecitare l’arresto del marito: «Preghiamo identificare le persone che vivono nella villa. Non è escluso che nella villa conviva sua moglie, cittadina del Kazakistan, Alma Shalabayeva, nata il 15 agosto 1966». Non solo. Due giorni dopo, un ulteriore appunto della diplomazia, indirizzato agli stessi uffici di San Vitale, specificava: «Si conferma che la signora Alma Shalabayeva è cittadina della Repubblica del Kazakhistan. Possiede il passaporto nazionale numero N0816235 rilasciato il 3 agosto 2012 e l’altro passaporto nazionale numero N5347890 rilasciato il 23 aprile 2007. In base ai dati dell’Interpol la signora Alma Shalabayeva può usare i documenti di identità falsi per il nome di Alma Ayan, nata il 15 agosto 1966 con passaporto nazionale della Repubblica dell’Africa Centrale N06FB04081 rilasciato il 1 aprile 2010».

Ed ecco l’atto di accusa del presidente Bresciano: «Di tutto questo non è stata data comunicazione. C’è stata una mancata trasmissione di atti che ha avuto gravissime conseguenze. La polizia avrebbe dovuto fornire tutti i documenti riguardanti l’identità Alma Shalabayeva e invece non l’ha fatto». La polizia sostiene che quegli atti erano stati inseriti nel fascicolo inviato al Cie in vista dell’udienza di convalida. La giudice di pace ha verbalizzato il contrario: «Il nome Shalabayeva non risultava in nessuna relazione ufficiale depositata al mio ufficio. Gli unici a pronunciare il nome Shalabayeva furono gli avvocati».

 

Adesso sarà il procuratore Giuseppe Pignatone a dover decidere come procedere. Il giallo sulla «consegna» della moglie del dissidente Mukhtar Ablyazov non è affatto risolto.

Fiorenza Sarzanini


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