La moglie di Ablyazov aveva il titolo di rifugiato in Inghilterra

by Sergio Segio | 21 Luglio 2013 9:00

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ROMA — Anche Alma Shalabayeva, la moglie del dissidente kazako Mukthar Ablyazov «consegnata» dalle autorità italiane a quelle dell’ex Repubblica sovietica che ne avevano fatto specifica richiesta, aveva il titolo di rifugiato politico in Gran Bretagna. Proprio come suo marito, il quale però aveva l’obbligo di non lasciare il territorio britannico; Alma invece no, poteva andare dove voleva. E a settembre era arrivata a Roma.

Gli investigatori e i diplomatici italiani l’hanno scoperto quando ormai la signora era già nel suo Paese, il 5 giugno 2013, cinque giorni dopo il rimpatrio forzato. L’iniziale interessamento risale al 4 giugno «su sollecitazione del ministero per gli Affari esteri», quando l’ambasciata italiana a Londra chiede al proprio esperto per la sicurezza di «verificare l’eventuale status di rifugiato nel Regno Unito di Ablyazov e dei congiunti, a causa di notizie diffuse sui soggetti dalla stampa britannica». L’uomo si rivolge all’Interpol, che attiva i suoi canali e risponde il giorno successivo, come si legge nella relazione del dirigente Gennaro Capoluongo, direttore del Servizio per la cooperazione internazionale della polizia italiana, allegata agli atti dell’inchiesta svolta dal prefetto Alessandro Pansa: «Il dottor Moscatelli (funzionario dell’ufficio, ndr ) acquisiva notizie informali comunicando che il latitante e la moglie beneficiano dello status di rifugiato nel Regno Unito». Nella prima comunicazione viene segnalato il divieto di espatrio per entrambi, ma dopo mezz’ora arrivava la precisazione sulla libera circolazione per la signora.

Nei giorni successivi si scoprono ulteriori particolari sul fatto che pure Alma Shalabayeva era protetta dall’asilo politico Oltremanica. Perché mentre era trattenuta dalla polizia italiana la donna non l’ha mai detto, come non ha chiesto di estendere quello status all’Italia? Secondo il suo legale Riccardo Olivo «non voleva mettere a rischio il marito, che avendola raggiunta a Roma aveva violato le regole inglesi, ma l’avrebbe fatto se ce ne avessero dato la possibilità. Se non l’avessero portata in aeroporto e poi imbarcata mentre ci avevano detto che l’avremmo potuta incontrare». Neppure gli inglesi hanno fornito — sempre secondo la ricostruzione del dirigente Capoluongo — risposte ufficiali; sempre e solo notizie «acquisite informalmente». Fino al 15 luglio scorso.

E in tutto questo periodo la polizia italiana ha continuato a collaborare con i kazaki che, ottenuta la moglie, insistevano con notizie e richieste relative al loro obiettivo principale: Ablyazov. Ancora l’11 giugno «I’Interpol di Astana aggiorna le possibile false identità e i relativi documenti di cui il fuggitivo poteva far uso; dette informazioni venivano partecipare alla questura di Roma il successivo 13 giugno». Giorno in cui la stessa questura chiedeva al Servizio per la cooperazione internazionale, «accertamenti da eseguire in Austria e Kazakistan» per le indagini scaturite dal blitz di Casal Palocco. Per contro il 28 giugno arrivava allo stesso Servizio di cooperazione una richiesta di rogatoria «da far pervenire al competente magistrato italiano», finalizzata a «conoscere urgenti elementi di informazione sulle indagini in corso, per confrontarli con le risultanze delle attività svolte in quel Paese». 

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