L’America non cede sui propri agenti segreti Il rischio di uno scontro

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NEW YORK — Al Consiglio per la sicurezza nazionale della Casa Bianca sanno che il caso, già fonte di imbarazzi l’anno scorso, creerà altre difficoltà a Obama nel rapporto con l’alleato italiano, ma per ora dirottano altrove la questione: «È di competenza della Cia e del Dipartimento di Stato». Dal ministero degli Esteri promettono una nota che, però, non arriva. Comprensibile: la cattura a Panama di Robert Seldon Lady ha aspetti non proprio lineari che vanno indagati. Un episodio imprevisto che rende di nuovo un po’ accidentata la strada delle relazioni Italia-Stati Uniti dalla quale, pure, gli ostacoli erano stati, per quanto possibile, rimossi nei mesi scorsi.

Se il governo italiano, dopo la sentenza definitiva della magistratura che nega l’immunità diplomatica agli agenti della Cia, aveva fatto il possibile per evitare lo scontro con Washington emettendo un mandato di cattura internazionale per uno solo dei condannati, anche da parte americana ci si era mossi con prudenza. Gli Stati Uniti non sono in alcun modo disposti a consegnare un loro agente (o ex) alle autorità di un Paese straniero (anche se alleato) al quale non riconoscono giurisdizione su una materia che «concerne segreti di Stato e riguarda la sicurezza nazionale». Inoltre, nel caso specifico, ritengono di essersi comportati lealmente con l’alleato che è stato informato, almeno a livello di servizi segreti, del rapimento dell’imam Abu Omar: circostanza, questa, sempre negata da parte italiana.

In ogni caso, dopo la sentenza definitiva dell’autunno scorso, Washington aveva evitato di battere i pugni sul tavolo, limitandosi a esprimere «disappunto» mentre l’allora ministro della Giustizia del governo Monti, Paola Severino, aveva fatto la sua parte per disinnescare la mina, chiedendo l’estradizione per uno solo dei condannati: quello al quale era stata comminata la pena più pesante.

Ma, imprevedibilmente, Seldon Lady, nato in Honduras e di casa in vari Paesi centroamericani, si è fatto intercettare dalle guardie di frontiera di Panama, un Paese strettamente legato agli Usa. Tanto per rendere le cose ancora più complicate, l’ex capo della stazione di Milano della Cia, che veniva dal Costa Rica, pare abbia presentato documenti falsi.

Anche se non c’è ancora presa di posizione ufficiale, non c’è dubbio che gli Stati Uniti faranno il possibile e l’impossibile per impedire l’estradizione del loro ex agente in Italia. Sempre che Anna Maria Cancellieri, nel frattempo subentrata alla Severino al ministero della Giustizia, firmi la richiesta di estradizione. Dopo aver chiesto ieri il fermo di Seldon Lady dopo il suo arresto alla frontiera panamense, il governo italiano ha, ora, due mesi di tempo per formalizzare la sua richiesta. Difficile che la Cancellieri, a questo punto, si tiri indietro. Ma la consegna dell’ex agente non è affatto scontata, anche perché tra i due Paesi non c’è un vero trattato per le estradizioni.

Il governo Letta, già alle prese con lo spinoso dossier-Kazakistan, cercherà di chiudere quanto prima il caso. Anche gli Stati Uniti hanno interesse a non dare risonanza a una vicenda che risale all’era Bush: un caso di «redention» in un Paese alleato che ha fatto molto discutere e in qualche modo «storico» perché ha portato per la prima volta alla condanna di agenti Cia in un Paese alleato. Da allora gli Usa hanno cambiato rotta: niente più operazioni simili in Europa. Ma non è facile chiudere il caso, nonostante la buona volontà delle parti: il fantasma di quel colpo di mano di dieci anni fa insegue ancora la Cia e la diplomazia Usa .

Massimo Gaggi


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