Le parole sono importanti e allora aboliamo “cancro”
Perché il cancro non è solo una malattia grave e a volte mortale, ma è anche la rappresentazione della maledizione, è il male per antonomasia, un male oscuro e inspiegabile che nasce in noi e dall’interno ci distrugge, tanto che è una parola usata per denominare le degenerazioni sociali che appaiono inestirpabili. È un cancro la mafia, l’inflazione, oggi anche la crisi finanziaria. Come si può pensare di guarire da un’entità simbolica, uno spettro che si può materializzare solo pronunciando il suo nome? Diventa allora un dovere morale per i medici togliere l’angoscia creata dalla parola cancro. In Italia ci abbiamo pensato sin dal 2006, quando abbiamo proposto alla comunità medica internazionale una nuova classificazione per i tumori del seno. Invece del termine “carcinoma duttale in situ” abbiamo introdotto “neoplasia intraduttale” (in termine tecnico Din). Questa semplice sostituzione evita di utilizzare parole come “infiltrante” o “invasivo”, che evocano una malattia insinuata in tutto il corpo, generando terrore.
Va detto che fino a qualche decennio fa il medico usava volentieri parole difficili dal significato minaccioso, che lasciava cadere come pietre dall’alto del suo sapere su pazienti e familiari, facendoli sentire inadeguati e ancora più impotenti. È una tecnica per tenere a distanza il malato e proteggere se stessi. Qualcuno la adotta ancora oggi. Però ora l’atteggiamento del paziente, più consapevole e informato, è cambiato e soprattutto è cambiato il volto del cancro. Oggi di tumore si può guarire e le cure sono rispettose della qualità di vita. Non era così quando la parola fu usata per la prima volta da Ippocrate, 2500 anni fa.
L’inventore della medicina moderna definì “karkinos” — che significa granchio — la forma del tumore della pelle, il primo ad essere osservato. Arrivò anche ad avanzare una teoria sulla sua origine: l’eccesso di bile nera, in greco “melanconia”.
Oggi le cause dei tumori diffuse sono conosciute, e mediamente il 60 per cento guarisce se diagnosticato per tempo; anzi per alcune neoplasie (mammella, prostata, tiroide eccetera) si arriva fino al 90 per cento. È davvero tempo di cambiare nome a questa malattia — noi proponiamo neoplasia — e di scacciarne i fantasmi. Così come dobbiamo smettere di chiamare gli ex malati “sopravvissuti”. Si sopravvive a una calamità, a una guerra, a un incidente: a un evento catastrofico, insomma, in cui solo per miracolo ci si sottrae alla morte. Ma oggi il cancro è una malattia curabile nella maggioranza dei casi e non deve spaventare. Le parole sono fondamentali nel linguaggio del dolore.
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