Letta: no all’autunno caldo, serve una riconciliazione
BERLINO — Non serve «un autunno caldo», ma «una stagione di riconciliazione »: il messaggio di Enrico Letta, affidato ai microfoni della tv greca Alpha, è di comprensione per chi – giovani e lavoratori – «è esasperato da quello che ha vissuto». Ma per coltivare speranze di crescita serve un’Europa «diversa, migliore, più concentrata sul lavoro», che sia «simbolo di speranza e non di disperazione». Il premier sottolinea che nel 2014 saranno Roma e Atene a presiedere l’Unione. E indica la direzione: all’Italia soprattutto, ma anche alla Grecia, dov’è atteso oggi per un incontro proprio sulla Ue e sulle vie d’uscita dalla crisi con il primo ministro di Atene, Antonis Samaras.
Il messaggio è rivolto naturalmente anche agli altri partner dell’Unione, in primis forse alla Germania, guardiana della linea del rigore e paladina dell’ortodossia monetaria. Ma a ribadire che l’Italia è in seria difficoltà, e dunque un partner da tenere sotto esame, è stato ancora una volta lo Spiegel.
Il settimanale di Amburgo non ha avuto bisogno di fare la copertina con una pistola adagiata su un piatto di spaghetti per dipingere il Paese. E’ bastato raccontare la crisi, usando fonti italiane, ma affidando il quadro conclusivo a Clemens Fuest, presidente del Centro europeo per la Ricerca economica di Mannheim. Lo scenario è fosco: a meno di cambiamenti sostanziali – è il timore di Fuest – il Paese rischia di andare in bancarotta.
«Il circolo vizioso di recessione, disoccupazione e calo del potere d’acquisto sta portando Roma più a fondo nella crisi», scrive
Der Spiegel.
L’analisi dei problemi strutturali dell’Italia è spietata: «Oltre al carico fiscale, una burocrazia ipertrofica che rallenta ogni attività economica, una giustizia inefficiente che spaventa i potenziali investitori con cause che possono durare decenni, un livello di istruzione relativamente basso e infrastrutture modeste, strade piene di buche, interruzioni della corrente, treni sempre in ritardo e reti di comunicazione obsolete». Come risultato, l’Italia attrae sempre meno investimenti stranieri: «E’ al posto 44 nella classifica stilata dal Centro competitività internazionale, dopo le Filippine, la Lettonia, la Russia, il Perù, e appena sopra Spagna e Portogallo».
Ma la vera malattia è “la casta”, indica il giornale in italiano, una classe politica «in parte corrotta, in parte ostinatamente ideologica e non disponibile a compromessi ». Anche l’attuale governo non sembra in grado di produrre le riforme. Unico incoraggiamento, quello molto “parziale” dell’analista americano Allen Sinai, secondo cui «il Paese ha una grande vitalità e grande potenziale, ma può beneficiarne solo se esce dall’euro ».
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