PANGLOSS E MACHIAVELLI

Loading

C’è chi lo chiama geoeconomia, ma è anche geopolitica. Il gioco di forza attuale vede una straordinaria varietà di paesi seduti simultaneamente al tavolo negoziale per stipulare grandi accordi su commercio e investimenti. Si può pensare ad una rete dell’Occidente allargato, potremmo chiamarla Widest West Web, anche se includere nell’Occidente il Giappone, il Perù il Brunei e il Vietnam significa proprio allargarsi. Un’altra definizione potrebbe essere Ebc, Everyone but China, “tutti meno la Cina”.
Il maggiore di questi negoziati tra una delegazione della Commissione europea e la controparte statunitense ha preso il via questa settimana al Conference Center della Casa Bianca a Washington Dc. L’accordo che le parti stanno tentando di definire si chiama attualmente Ttip, che sta per “Partenariato transatlantico su commercio e investimenti”. È un acronimo orribile. Per prima cosa i negoziatori dovrebbero cambiargli nome. Tap, “Partenariato transatlantico”, è un’alternativa molto migliore.
Il Tap si accompagnerebbe molto bene al Tpp, il Partenariato trans-pacifico, l’altro grande spettacolo della Broadway geoeconomica. Secondo le stime il commercio e gli investimenti transatlantici ammontano in totale a circa 4,7 trilioni di dollari. La regione Tpp proposta, un diverso gruppo di paesi che in base al programma attuale dovrebbe includere Usa, Canada, Messico, Australia e Giappone, nonché importanti democrazie di mercato come il Vietnam e il Brunei, copre circa un terzo del commercio mondiale. Sono in corso anche negoziati Ue-Canada e Ue-Giappone, mentre sia Usa che Ue mirano a rafforzare i propri rapporti commerciali e di investimento con paesi come l’India e il Brasile.
Col magnifico entusiasmo americano all’insegna del “tutto si può fare” la Casa Bianca sostiene che al Ttip – da ribattezzare presto Tap – si arriverà in tempi brevi, “con un pieno di benzina”, intendendo probabilmente prima delle elezioni di medio termine del 2014. Un pieno di benzina dicono. Beh, devono avere dei serbatoi capienti laggiù, anche se va detto che, come gli americanissimi Suv, il Congresso Usa fa ben pochi chilometri con un litro. Sul versante europeo quel lasso di tempo ci porterà al termine del mandato della Commissione e del Parlamento attuali. Anche la maggior parte degli altri colloqui, inclusi quelli Tpp, Ue-Canada e Ue-Giappone guardano al 2014.
Può darsi che non ci si arrivi mai. La storia recente dei negoziati commerciali è all’insegna dello stallo o, per restare in tema con la metafora dell’amministrazione Obama, della benzina agli sgoccioli. Il fatto che la maggior parte dei paesi in causa siano democrazie non fa che complicare le cose. Le democrazie contemporanee sanno aggregare egregiamente le istanze specifiche dei gruppi di interesse, siano essi interessi commerciali e finanziari (grandi imprese, lobby di settore) o interessi importanti sotto il profilo elettorale, come nel caso degli agricoltori. E l’Ue stessa è un’aggregazione di 28 aggregazioni nazionali. Non è un caso che Bruxelles competa con Washington per il titolo di Nirvana dei lobbisti.
Ma proviamo a immaginare che, con i politici stranamente concentrati per via di anni di recessione globale e per l’ascesa della Cina, tutto vada a buon fine. Sarebbe un immenso risultato sotto due aspetti: un enorme potenziale guadagno per l’economia mondiale e un’enorme sfida alla Cina. Allo scoccare del centesimo anniversario del 1914 torneremmo ad
un mondo di libero scambio simile a quello precedente al 1914 — ma su più ampia scala, caratterizzato da un colonialismo meno ufficiale e da forme di interconnessione più complesse e approfondite.
Non tutti andrebbero a guadagnarne, neppure nell’Occidente allargato, ma i potenziali benefici sono enormi. Le proiezioni degli economisti devono essere prese
cum grano salis(
una bella manciata di sale, direi), ma solo per darvi un’idea: stando ad uno studio commissionato dalla fondazione Bertelsmann, il Tap – o Ttip, se proprio insistete, – potrebbe avere come risultato un aumento a lungo termine del Pil pro capite pari al 13% per gli Usa e una crescita del reddito reale medio pro capite pari al 5% per l’Ue – con non meno del 10% pro capite per il Regno Unito. La Commissione europea stima che un accordo Ue – Giappone da solo possa portare alla creazione di 400.000 posti di lavoro. Per un’Unione Europea che registra quasi sei milioni di giovani disoccupati, non è un’inezia. Se realizzata nel modo corretto l’espansione del libero scambio e degli investimenti è quanto di più vicino al “win-win” riferito alle vicende umane. Quindi via libera al Tap, e a tutti gli altri accordi.
Ma questa, non ci inganniamo, è anche una sfida geopolitica al partito comunista cinese. Perché nella geopolitica del libero scambio il Dr. Pangloss incontra Machiavelli. Gli americani lo sanno. (È uno degli aspetti che alcuni preferiscono). Irwin Stelzer scrive che il commercio “è politica, e guerra, con altri mezzi”. Gli europei lo sanno. I giapponesi lo sanno. (Il primo ministro Shinzo Abe sostiene che l’adesione al Tpp contribuirà alla “sicurezza” del Giappone).
Anche i cinesi lo sanno. Un articolo sul Washington Quarterly a firma di Guoyou Song, dell’università Fudan di Shanghai, e di Wen Jin Yuan, dell’università del Maryland, riferisce che negli ambienti accademici e politici è forte la tendenza ad attribuire al Tpp carattere di strumento americano mirato a contenere l’ascesa cinese. Tuttavia la conclusione dell’analisi molto misurata dei molteplici interessi e lobby che improntano la politica cinese è intrigante: “…vale la pena indicare che la Cina non ha chiuso le porte alla possibilità di aderire al Tpp. Se il governo cinese ha idea che i benefici dell’adesione valgano i costi, allora davvero la Cina potrebbe aderire”.
Ecco dove il Pangloss economico e il Machiavelli politico potrebbero realmente associarsi, in una maniera che sia dialettica – se i comunisti cinesi perdoneranno un’espressione tanto vecchio stile. Il Widest West Web, la rete dell’Occidente allargato, rappresenta una sfida per la Cina, ma anche un incentivo. Se la Cina dovesse decidere di voler aderire ad una rete di aree di libero scambio vero e proprio e di investimenti, rispettando davvero le regole del gioco e noi dovessimo dire di no, ci comporteremmo da irresponsabili quasi quanto i leader europei fecero nel 1914. Il nostro obiettivo ultimo in questo nuovo grande gioco non deve essere un blocco Ebc (tutti meno la Cina). Queste aree di libero scambio dovrebbero essere piuttosto considerate elementi costituitivi di un ordine internazionale liberale che possa includere e abbracciare la Cina. Quest’ultima avrebbe allora ovviamente il diritto di dar forma a quell’ordine, assieme alle potenze occidentali, ma la sua partecipazione contribuirebbe anche infine a spostare la Cina a livello interno in direzione di una maggiore apertura, pluralismo e stato di diritto, come auspicato da un numero sempre crescente dei suoi cittadini. Benvenuti nella dialettica del Tap e del Tpp.
www.timothygartonash.com Traduzione di Emilia Benghi


Related Articles

Tocca all’Ue raddrizzare Budapest

Loading

Di fronte alla deriva autoritaria e nazionalista del governo di Viktor Orbà¡n l’Europa non può rimanere indifferente. Una comunità  di valori democratici condivisi ha l’obbligo di intervenire per tutelarli.

Proteste e feriti contro la reconquista di Bush

Loading

Chavez guida corteo a Buenos Aires. In Colombia studenti in rivolta Scontri tra migliaia di dimostranti e poliziotti all’arrivo del

Colonia, ronde razziste contro i migranti

Loading

Germania. La polizia: a Capodanno nessun “disegno”

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment