Sharing economy, benvenuti nella terza era del Web

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Owyang ha quindi mostrato uno schemino semplice semplice, quello delle tre ere, appunto. Nel primo periodo di Internet le persone accedevano alle informazioni che il Web offriva loro e ad avere il controllo dei contenuti erano soprattutto le aziende, i media e le istituzioni. Nella seconda fase, quella del Web 2.0, una serie di strumenti permettono agli utenti non solo di accedere alle informazioni ma anche di scambiarsele e contribuire alla costruzione di questo immenso cervello globale che è il Web: se prima chi voleva avere una presenza in rete doveva costruirsi un sito e conoscere il codice di scrittura (HTML), adesso chiunque può aprire un blog, e chiunque altro può leggerlo e commentarlo. I social network permettono di costruire reti di relazioni, di scambiarsi idee e informazioni. I consumatori ne escono rafforzati: le aziende devono ascoltarli e dialogare con loro.

Oggi quella del Web 2.0 è già un’era tramontata. Grazie ai sistemi mobili di pagamento e alla nascita di piattaforme collaborative, le persone possono scambiarsi su Internet non solo informazioni, ma anche beni e servizi. È l’era della sharing economy o economia della condivisione. C’è anche chi, come Owyang, allarga il concetto e parla di “collaborative economy”.

In Italia, le startup che avviano portali di consumo collaborativo, nascono ormai ogni giorno. Alcune di queste piattaforma sono nate negli Stati Uniti, dove il boom della “sharing economy” è avvenuto un paio d’anni fa. C’è per esempio Airbnb, il sito web dove è possibile affittare la propria casa ad altre persone durante la propria assenza, che ha raggiunto più di 10 milioni di notti vendute e 4 milioni di utenti nel mondo a soli quattro anni dalla sua nascita e ha aperto un portale italiano e una sede a Milano nel 2012.

Una startup “made in Italy” è invece quella di Locloc, una piattaforma dedicata al noleggio fra privati, dove chi ha bisogno di un oggetto incontra chi lo possiede già e vuole metterlo in affitto. Secondo una ricerca pubblicata su Forbes, nelle nostre case si nascondono beni per almeno 3mila euro. Locloc propone di rimettere in circolo questi beni e guadagnarci. “Il funzionamento è semplice” spiega l’ideatrice, Michela Nosé, designer di 36 anni. “Ci si iscrive creando un profilo o accedendo con il proprio account Facebook e si può iniziare subito a cercare ciò di cui si ha bisogno. Quando chi cerca e chi offre a noleggio si accordano su durata, prezzo e modalità del ritiro dell’oggetto si sottoscrive un contratto di locazione, si paga con carta di credito e si concorda un appuntamento per il ritiro e per la riconsegna”. Locloc, come quasi tutte le piattaforme di consumo collaborativo, trattiene una percentuale fra il 10 e il 20 per cento rispetto al valore del bene noleggiato e offre una copertura assicurativa che tutela da possibili danni.

Ci sono siti che mettono in contatto chi è disposto a svolgere piccole mansioni o lavori come Sfinz.com, nato dieci mesi fa dall’idea di tre giovani startupper. I portali di consumo collaborativo nascono spesso dal basso, dall’idea di una singola persona o da un’esigenza pratica. Funzionano con dinamiche simili: la registrazione è sempre gratuita, nel caso di transizione avvenuta chi gestisce la piattaforma applica una trattenuta in percentuale sul valore del bene o servizio. Spesso è prevista una copertura assicurativa ma a contare davvero è il sistema di feedback che permette agli utenti di lasciare una valutazione sui beni o servizi noleggiati e scambiati, nonché sugli altri utenti.

Per questo, dicono gli esperti, la “reputazione” sarà un elemento sempre più importante nella terza era di Internet. Il profilo Facebook o Linkedin come la fedina penale? Presto per dirlo. Le applicazioni della “sharing economy” sono ancora tutte da esplorare. Ci sono già esperienze che vanno oltre il consumo, come le piattaforme di cittadini che provano a cambiare la pubblica amministrazione. Apertura e condivisione contro chiusura. Un esempio? Il prossimo G8. Se il vertice è blindato c’è il G-Everyone, una mega aula virtuale dove ognuno può dire la sua.

Emanuela Citterio


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