Spagna: Il racconto di una sfrattata (3/3)

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Torniamo al momento in cui tutto è precipitato. “Mamma, c’è un signore”. Mentre gli elicotteri aggiungono la loro colonna sonora all’imminente sciopero generale, poso le carte del tribunale su un tavolo e mi appresto a scrivere un articolo per il sito di El Mundo – bisogna raccontare, parlare è una necessità – destinato al mio blog, ma che ha occupato la homepage per troppo tempo. Si intitola “Il mio sfratto è arrivato”.

La mattina, quando lavoro da sola a casa, non apro la porta. Le porte del mattino si aprono sempre su cattive notizie. Ma di solito intorno alle 19,40 le porte lasciano entrare o vicini.

Quando sul pianerottolo mi ritrovo di fronte questa persona, so già perché è venuto.

“Le porto una notifica del tribunale”.

Sotto il braccio ha uno spesso incartamento. La sua mano sinistra mi tende una carta.

“È l’ordine di sfratto?”

Lo aspettavo da tempo, da quando la banca mi aveva detto che se volevo sapere qualcosa sul mio credito dovevo rivolgermi al servizio giuridico. Quando si sente la banca parlare di “servizio giuridico”, si capisce che la questione è ormai nelle mani di un settore dove i termini sono diversi. È una sensazione che ricorda quella degli adolescenti quando hanno a che fare con le ”cose dei grandi”. Devono viverle in prima persona. Le capiscono, ma gli sfuggono le cose più importanti.

“Ehm, più o meno”. Il tipo esita. “Deve presentarsi in tribunale e firmare questo”.

“E se non firmo?”

“È lo stesso”.

Si sentivano i primi petardi che segnano l’inizio dello sciopero generale che una mente illuminata ha definito “uno sciopero politico”, come se potesse essere altro.

“Ragazzi, filate in salotto”.

Firmo tutto e prendo l’incartamento. Tribunale di prima istanza numero 4, Barcellona, Gran Via de les Corts Catalanes 111. Procedura di esecuzione della garanzia ipotecaria xxx/2012, sezione 2 C. Parte ricorrente Banco Bilbao Vizcaya Argentaria, Sa. Procuratrice Irene Sola Sole. Parte debitrice Cristina Fallarás Sánchez. I nomi del ricorrente e della procuratrice sono scritti in maiuscolo, il mio in minuscolo.

E improvvisamente Facebook e Twitter cominciano a impazzire, le radio, le televisioni, tutti mi cercano. Il telefono suona, è il produttore di un programma della sera. Uno di quelli con gli ascolti più alti.

“Ciao Cristina, abbiamo letto la tua storia e vorremmo invitarti al programma, per partecipare al dibattito”.

“Sono proprio a Madrid per partecipare al festival Eñe di letteratura”.

“Bene, dovresti essere allo studio stasera per le otto”.

“Impossibile, a quell’ora finisco la tavola rotonda. In realtà è tutto piuttosto complicato perché non ho neanche il biglietto”.

“Non importa ti mando un taxi, ti pago l’albergo, ti spedisco un biglietto”.

Arrivo davanti agli studi della rete privata. Mi fanno sedere accanto a due coppie. La più anziana è sui settanta. La donna è preoccupata per i suoi capelli e si stira il vestito con un gesto nervoso, si trova dall’altra parte di quello schermo davanti al quale ha passato tante ore di una pensione che immaginava tranquilla. Il marito, un uomo che nonostante la stazza imponente e la carnagione rossa di contadino urbato, praticamente non esiste più. In seguito vedrò una lacrima discreta scivolare sulla sua guancia.

Per quanto riguarda la coppia più giovane, l’uomo ha da tempo passato i quaranta, la donna deve averne cinque di meno. Sul loro volto l’emozione di ritrovarsi in uno studio televisivo, un luogo quasi divino, si mescola a uno sguardo meravigliato.

“Siamo stato sfrattati”, mi spiega l’uomo con il suo accento andaluso. “In un primo tempo ci hanno sfrattato da casa nostra e adesso sfratteranno anche i miei genitori, perché erano i garanti dell’acquisto del nostro appartamento”, e con un cenno del mento indica il padre. “Il loro appartamento, dove sono vissuti tutta la loro vita. Ci ritroviamo tutti e quattro per strada, con i piccoli. La sola cosa che ci rimane è andare in televisione”.

L’accettazione

Provo una strana sensazione allo stomaco e alla testa. Una sensazione che si percepisce anche nei miei occhi. Improvvisamente non so più che cosa faccio qui, accanto a queste quattro persone la cui sventura mi sembra così estranea. “La sola cosa che ci rimane è questo”. Come spiegare che non ci troviamo tutti sulla stessa barca? Come spiegare questa voglia nauseante di fuggire, di chiamare un taxi e di tornare a casa?

Cerco disperatamente un’assistente della trasmissione. Ho bisogno di sapere che non vado a sedermi sull’orlo del precipizio assoluto, dal quale penzolano le gambe di queste persone che mi guardano chiedendosi perché sono qui. Finora non avevo veramente capito chi ero. E mi assale il dubbio: sono una sfrattata? Sono una delle centinaia di migliaia di persone che non hanno più nulla? È questa la ragione che mi ha portato fino a questa periferia madrilena?

“Mi scusi signorina, più dire che cosa sono venuta a fare qui?”, chiedo all’assistente.

Nella mia voce c’è un pizzico di irritazione trattenuta a stento. La ragazza mi guarda meravigliata.

“Ma… per partecipare al dibattito! Si siederà accanto alle altre persone, che esprimono la loro opinione e…”

Mi disprezzo per essermi rilassata. Mi batterò ma mi rilasso. Sono una sfrattata, come tanti altri, ma posso ancora raccontare e questo mi salva. E dopo, qualche volta, vomito.

L’articolo è stato pubblicato in spagnolo il 12 dicembre 2012 nella rivista online argentina Anfibia.

Leggi la prima parte

Leggi la seconda parte

Traduzione di Andrea De Ritis


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