“Stanca di minacce e insulti e ora ho paura per le mie figlie ma i razzisti non mi fermeranno”

Loading

MINACCE e insulti non mi fermano, guardo oltre. Certo, a volte torno a casa e mi sento stanca. Penso a quanta strada ancora deve fare questo nostro Paese». Cécile Kyenge, il primo ministro nero della Repubblica italiana, parla con la solita cadenza lenta e calma.

NON perde la sua stoffa da grande incassatrice, ma si vede che l’ennesimo attacco l’ha colpita a fondo e che avverte il peso crescente attorno a lei. La Kyenge, d’origine congolese, ha due giovani figlie, di 20 e 17 anni, e un marito italiano, Mimmo, di professione ingegnere: «Lui è un po’ preoccupato per me — ammette — io però non perdo la serenità, anche se adesso sono in pensiero per la sicurezza delle mie figlie».
A chi la insulta, il ministro per l’Integrazione rivolge solo un invito. «Faccio mio quanto detto qualche giorno fa dalla mia figlia più piccola: dovete viaggiare di più e confrontarvi con altre culture, così vi aprirete al mondo».
Prima l’invito allo stupro, poi il paragone a un orango, quindi i manichini insanguinati e il lancio di banane. Non è sfiancata da tutti questi attacchi?
«Non posso nascondere che a volte mi sento stanca del ripetersi di insulti tanto pesanti. Non me li aspettavo così forti. Ma non mi fermo o concentro sugli attacchi in sé, provo a guardare avanti, a riflettere sul disagio che dobbiamo cogliere dietro a questi
avvenimenti e a quali siano le risposte migliori che la politica e la società intera possano dare».
A garanzia della sua sicurezza, lei è sottoposta a una stretta protezione da parte delle forze di polizia. Come vive questa vita blindata?
«All’inizio mi affaticava molto, venivo da un’esperienza di vita diversa, di condivisione, di associazionismo. Poi mi sono in parte abituata. Ma per me il contatto umano resta indispensabile e ancora oggi lo ricerco in tutti i modi».
Cosa pensano di questa nuova vita le sue figlie?
«Loro mi vengono spesso a trovare, mi incoraggiano, mi fanno sentire la loro vicinanza, mi telefonano, mi mandano sms affettuosi e spiritosi. Mi spingono ad andare avanti. Mi rendono orgogliosa di loro. Parliamo molto assieme. Condividono il mio modo di ragionare, le cose importanti sui cui puntare nella vita, l’attenzione a non farsi distogliere dagli obiettivi prefissati. Penso spesso alle mie figlie, alla loro serenità e anche alla loro sicurezza».
Giulia, sua figlia più piccola, recentemente ha invitato i razzisti a viaggiare e a conoscere meglio il mondo. Lei che ne pensa?
«È un invito che condivido: solo il confronto garantisce una maggiore apertura mentale e culturale».
Dopo l’ennesimo attacco, suo marito non è preoccupato per lei?
«Sì, un po’ lo è. Ma sa che non bisogna farsi fermare e che si deve andare oltre».
Insultando lei, si insultano indirettamente molti degli immigrati che vivono e lavorano nel nostro Paese. Qual è la reazione delle comunità straniere?
«Le comunità in questi giorni mi sono molto vicine, condividono il percorso che sto facendo. Io mi sento di rappresentarle tutte. Faccio notare che da ministro ho pienamente garantita la mia siculità
rezza, ma molti oggi subiscono violenze analoghe e sono senza protezione: non mi riferisco solo ai migranti, ma a tutti i “diversi”. Anche loro meritano sicurezza e io sento il dovere di dargli voce e risposte ».
Da ministro ha trovato un Paese più arretrato e meno accogliente di quello che credeva?
«Credo che si debba aprire una riflessione. In altri Stati europei, come la Svezia, ci sono ministri neri, ma non succede a loro quello che accade a me in Italia. Non potevo immaginare reazioni tanto violente. Certo, veniamo da percorsi diversi. Da noi la comunicazione sui migranti ha puntato tutto sulla clandestinità e la delinquenza».
Cosa deve fare allora la politica?
«È l’Italia intera che ha tanta strada da fare; per troppo tempo si è sottovalutato l’aspetto culturale dell’immigrazione e l’apporto che questa dà al Paese».
Quali sono le responsabità istituzionali di questa sottovalutazione?
«Sì, non è solo questione di società civile, la riflessione va aperta anche a livello istituzionale. E chi riveste cariche pubbliche o leadership politiche dovrebbe capire l’importanza delle parole che pronuncia».
C’è chi scrive che un medico oculista non c’entra nulla con l’integrazione. Insomma lei non avrebbe le competenze necessarie. Cosa risponde?
«La mia vita racconta un’altra storia. Ma questa frase, che ho letto, non sarebbe stata scritta se ci si fosse informati. Purtroppo molte persone parlano anche solo per farsi pubblicità».
Lei ha twittato che il 30 luglio con l’Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali) parte l’elaborazione di un piano. Di cosa si tratta?
«Sarà un piano contro il razzismo che coinvolgerà lavoro, sport e scuola per cercare di sensibilizzare a tutte le diversità. Si tratterà di rinforzare gli strumenti già in nostro possesso e di avviare un serio lavoro culturale. Sarà un impegno condiviso con le associazioni, gli enti locali e gli altri ministeri competenti».
Insomma, gli attacchi e gli insulti non rischiano di rallentare la sua agenda?
«In un certo modo, gli attacchi rinforzano me e il Paese».
Si spieghi meglio.
«Le reazioni a questi insulti, che vedo sul territorio, finiscono per unire l’Italia “buona” e forse contribuiranno a risvegliare molte di quelle coscienze che in questi anni si erano un po’ assopite».


Related Articles

L’ «altra metà  del cielo» tradita dai giganti d’Asia Cina e India: più aborti selettivi, meno donne

Loading

 PECHINO — Potere, influenza, ricchezza o, più semplicemente, uguali opportunità : con gli occhi delle donne di Cina e India questi termini hanno ancora un sapore agrodolce. È indubbio che nei Paesi più popolosi del pianeta— insieme raggiungono 2,4 miliardi di abitanti, quasi la metà  del totale mondiale — negli ultimi decenni le condizioni di vita abbiano fatto enormi progressi e molti sono gli esempi di successo al femminile.

“Asili e buoni scuola per i veneti doc” Pd e Udc contro Zaia: discrimini i bimbi

Loading

Primo via libera alla legge: priorità  a chi risiede da 15 anni. Proteste anche nel Pdl 

L’Iran ammette gli uccisi ma li chiama «teppisti», secondo Amnesty sono almeno 208

Loading

Per la prima volta Teheran dà conto della repressione delle proteste ma scarica la colpa sui manifestanti. Il governo dà solo il bilancio dei fermi, 7mila. Secondo Amnesty, almeno 208 vittime

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment