“Il passaporto è contraffatto” la misteriosa retromarcia della Repubblica Centrafricana

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ROMA — Con un dietrofront che spariglia di nuovo le carte, la Repubblica Centrafricana comunica ufficialmente che il passaporto di Alma Shalabayeva è falso. Un colpo di scena che arriva proprio mentre da Almaty la donna accusa la polizia italiana di avere manomesso in qualche modo il documento che lei mostrò agli agenti subito dopo il blitz del 28 maggio, convinta che questo le avrebbe risparmiato l’espulsione. Ma fu considerato falso. Per due mesi il governo di Bangui ha ribadito in tutte le sedi, anche con atti formali inviati alle autorità italiane, l’autenticità di quel passaporto rilasciato nel 2010. Ancora
giovedì scorso il ministro delle Cultura e della comunicazione della Repubblica Centrafricana, Christophe Betty Gazam, era andato fino a Aix-en-Provence per dimostrare che il documento esibito da Mukhtar Ablyazov al momento dell’arresto, anche in questo caso un passaporto emesso da loro, era vero. La stessa cosa aveva fatto appena una settimana fa per la moglie il suo collega della Giustizia Arséne Sende.
Ma ora si scopre che non è così. La questura di Roma, infatti, ha ricevuto una nota del ministero degli Affari Esteri, in cui si specifica che «la perizia eseguita sulla copia del passaporto diplomatico n. 06FB04081, rilasciato da Bangui il 1° aprile 2010, attesta l’illegalità del documento di viaggio ». Illegalità che, spiegano i funzionari centrafricani, «si evince dalla firma del ministro, dalla dimensione del timbro e dai caratteri dell’Autorità emittente». Un “tarocco”, insomma. E nemmeno ben fatto, come avevano notato già gli agenti della Polaria di Fiumicino a cui fu sottoposto il 29 maggio per una prima valutazione. Il ministro della Cultura che appena due giorni fa aveva giurato sull’autenticità dei documenti di Ablyazov, ora tace: «Sono impegnato, non posso parlare».
Per le indagini italiane la notizia non avrà grandi conseguenze: per la procura di Roma, che ha aperto un fascicolo in mano al pm Eugenio Albamonte e che vede Alma Shalabayeva indagata per falso, già era chiaro che la donna aveva altre generalità rispetto a quelle indicate nel passaporto africano. Le stesse che aveva il marito: entrambi sono registrati col cognome Ayan.
Ma la donna, che ha incontrato ad Almaty una delegazione del M5S, ha ribadito che il passaporto era autentico. E se non è così non è certo per colpa sua ma della polizia italiana: «Mi hanno restituito un passaporto “manomesso”: più “spesso” di quello rilasciatomi dal Centrafrica. E non ho ricevuto risposta ogni volta che ho provato a chiedere asilo politico: mi hanno buttato via il telefonino, impedendomi contatti, e si sono limitati a dirmi che
la mia era una “deportazione firmata ad alto livello”». Alma anche ieri ha ripetuto di voler tornare in Italia, ipotesi alla quale il governo kazako aveva detto sì chiedendo delle garanzie. Ora la precisazione di Astana è che si tratti di una forma di tutela della loro cittadina: non vogliono che venga processata a Roma per un reato che possa portarla in carcere. Uno zelo che finora il Kazakhstan non ha certo avuto e una richiesta che, soprattutto, non può fare.
Schermaglie diplomatiche che hanno sullo sfondo la partita legale. I difensori della Shalabayeva hanno presentato un ricorso alle autorità di Astana perché il fascicolo per falsificazione o ricettazione di documenti a carico di Alma sarebbe stato aperto il 30 maggio, il giorno prima dell’espulsione. Tempi decisamente troppo rapidi, quindi sospetti, per gli avvocati.


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