Napolitano sollevato dal cambio di marcia E oggi ascolterà le proposte del Pdl

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ROMA – Quel che il presidente della Repubblica voleva sentire, Berlusconi l’ha detto. Cioè che «il governo deve andare avanti e il Parlamento deve continuare per fare le riforme volute dal governo». E anche quello che Napolitano sperava di non ascoltare, dal palco arroventato della manifestazione sotto Palazzo Grazioli, il Cavaliere non l’ha detto. Non ha infatti evocato dimissioni in massa dei parlamentari pidiellini, non ha preteso forme di grazia o altri salvacondotti, non ha lanciato ultimatum, non ha minacciato ritorsioni o vendette politiche. La crisi al buio, tanto temuta dal Quirinale, sembra così evitata. La soglia di non ritorno non varcata. Almeno per l’immediato. Non è poco, visto che entro il 7–8 agosto le Camere devono approvare in via definitiva alcuni provvedimenti che, se saltassero, metterebbero a rischio l’intero impianto del programma parlamentare di settembre.
Insomma, rispetto ai proclami bellicosi e alle smanie nichiliste fatte echeggiare da falchi e amazzoni del centrodestra nei giorni scorsi, una frenata c’è stata. E, visto che a imprimere il cambio di marcia è adesso lo stesso leader, il capo dello Stato, apprezzandolo, confida che le sue truppe si adeguino all’impegno a non minare il percorso già impervio di Enrico Letta.
Certo, nel discorso di Silvio Berlusconi c’erano anche dei passaggi non proprio normali e accettabili, dal punto di vista di Giorgio Napolitano. C’era ad esempio l’ambiguità di quel «non mollo», a dispetto di una sentenza destinata a interdirlo per qualche tempo dai pubblici uffici (e quanto tempo lo dovrà decidere un’altra corte). Ma soprattutto c’era la visione, costituzionalmente distorta, di una magistratura «non sovrana» e che abusivamente si crede «potere dello Stato», che gli avrebbe imposto un calvario di processi «perseguitandolo», associata a una reiterata proclamazione d’innocenza. Un mix di accuse, recriminazioni e vittimismo che il presidente della Repubblica conosce bene (come del resto Ciampi e Scalfaro prima di lui) perché da vent’anni è l’eterno refrain introduttivo di quasi ogni colloquio con il Cavaliere. Un tipo di sfogo ormai stucchevole e comunque scontato.
È con questo viatico agrodolce che stamattina Renato Schifani e Renato Brunetta saranno ricevuti al Quirinale. Un incontro reso possibile grazie all’osservanza di un paio di precondizioni, filtrate nei giorni scorsi dal Colle: 1) la garanzia che sarà preservata la stabilità delle larghe intese e che non si rincorrono elezioni; 2) il fatto che dalla manifestazione non sono rimbalzate improponibili richieste di clemenza improponibili.
Sgombrato il campo da quei temi, Napolitano quindi ascolterà le proposte dei capigruppo del Pdl, in particolare quelle (su cui già almanaccano, dividendosi, diversi giuristi) per ridare una qualche forma di «agibilità politica» all’ex premier, dopo la condanna della Cassazione. Esclusa la grazia (impossibile oltretutto per chi abbia subìto altre condanne o abbia in corso altri processi), si tratta di ipotesi da costruire attraverso le vie parlamentari e da inquadrare magari nella cornice di una più vasta riforma della giustizia. Una chance che potrebbe, e anzi dovrebbe, essere in sintonia con gli stessi obiettivi abbozzati dalla commissione dei saggi messa in cantiere nel marzo scorso.
Marzio Breda


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