Chi coglierà la Grande mela?

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Dal mare viene una bell’aria, Rockaway, la spiaggia che non c’è più, spazzata via da Sandy, respira dopo vampate di caldo africano. È passata una settimana da quando Anthony Weiner, il redento, è tornato nella polvere: a cento giorni dalle elezioni, con i sondaggi che lo danno in testa nella corsa per il sindaco di New York, la gente disposta a concedergli il perdono, la moglie Huma felice al suo fianco, deve ripartire da dove era finito due anni prima. Una ragazza rivela al sito aver ricevuto da lui messaggi porno con tanto di foto più che esplicite. L’ex esponente del Congresso è qui, in questo salone nella Knights of Columbus, un’organizzazione benefica, per incontrare i fedelissimi, in quella che dovrebbe essere una delle sue zone di forza. Lui arriva con un’ora di ritardo, camicia azzurra, le solite maniche arrotolate, cravatta verde a pallini bianchi. È nervoso, non è la prima uscita dopo il nuovo scandalo, ma è un test importante: «Voglio salutare i miei amici della stampa e delle televisioni, che mi seguono ovunque», inizia amaro.

Poi prova ad attaccare per non essere attaccato: «Voglio lottare per il bene di tutti i quartieri non solo per lo skyline di Manhattan». Ma uno dei presenti lo ferma subito: «Scusa, perché io, la mia famiglia e la nostra comunità ci dovremmo fidare di te, visto che hai tradito per tanto tempo quelli che ti stavano vicino?». Weiner lo fissa perplesso, poi ribatte: «Io ho disonorato mia moglie, non ho fatto niente contro di te, voglio essere giudicato in base a quello che farò per la città».
Ma l’impressione è che il salto non gli possa più riuscire. Il secondo colpo sembra mortale: il New York Times gli chiede di ritirare la candidatura, nei dibattiti è crocefisso da destra e sinistra, da uomini e donne. La difesa della moglie, che appare con lui in una tormentata conferenza stampa ripetendo «Ho sofferto, ma dopo un lungo cammino di analisi voglio rimanere dentro questo matrimonio », diventa in realtà un boomerang. Le televisioni pubblicano sondaggi dove le newyorchesi non ammirano più la compagna leale e coraggiosa che sta con il marito nelle avversità, ma la condannano senza attenuanti: «Sbaglia a difenderlo». Persino l’amica Hillary Clinton si allontana, irritata insieme a Bill dei continui paragoni. E le ultime rilevazioni lo spingono al quarto posto con il 19% dei consensi, davanti a lui William Thompson con il 20, poi Bill de Blasio al 21 e sul gradino più alto del podio, con il 27, Christine Quinn che, dopo la paura di essere oscurata dall’exploit iniziale di Weiner, torna a essere la favorita per diventare il primo sindaco donna e gay di New York.
In pubblico ritrova il carattere tuttospigolichel’haportataavanti nella vita e in politica. È martedì 30 luglio quasi tutti i candidati sfilano davanti a studenti e professori della Columbia University. Lei,comed’abitudine,indossaun tailleur blu e sta seduta di sbieco sulla punta della sedia, come se dovesse partire di scatto contro qualcuno: «L’istruzione, l’insegnamento delle arti sono una delle mie priorità. So che adesso ci sono delle difficoltà, la crisi ha colpito duro e in molti casi mancano i soldi per pagare i professori a tempo pieno, per tenere aperte le strutture, per lanciare nuovi corsi. Ma io so dove e come trovare i fondi. Vedrete faremo meglio di quanto fatto sino ad ora», dice tutto di un fiato. Ma dal pubblico parte una battuta su Bloomberg: «Sei il suo braccio destro, l’hai messo tu lì per la terza volta». Ed è in questa contraddizione che la Quinn gioca la sua partita più difficile «La vicinanza con Michael è il suo principale alleato e il suo primo nemico», scrive il Magazine del New York Times nell’ultima inchiesta di copertina. Lei infatti può godere del sostegno, ovvero dei dollari dell’attuale primo cittadino, ma nonostante la sua aria liberal, la sua storia di redenzione da un passato tra alcolismo, droghe e bulimia, viene vista da molti elettori come un segno di continuità e di questi tempi non è un buon biglietto da visita. In un’uscita a Chelsea, il quartiere dove abita, la roccaforte omossessuale, viene fischiata dopo aver difeso il capo della polizia. Ma lei non vuole piacere a tutti, il suo idolo è Ed Koch il sindaco che salvò la città dalla bancarotta, protagonista di scontri violentissimi e lei ama ripetere un suo slogan: «Bisogna parlare con tutti, discutere a lungo, ma non c’è sempre una soluzione condivisa per tutti i problemi ». In una scuola le dicono: «Sei proprio cattiva» e lei ora usa l’accusa delle studentesse come una medaglia. In un’altra occasione nell’Upper West, mentre fa propaganda le si avvicina una signora anziana, la guarda e poi sorride: «Secondo me lei non è il male come vuole far credere».
Di sicuro è un abile stratega: spietata e decisa. Per un po’ di giorni ignora il Weiner bis, poi al momento giusto affonda il colpo: «È uno sconsiderato, un immaturo, nessuna persona con incarichi pubblici si dovrebbe comportare così. La cosa più grave è che si disconnette dalla verità».
È il segnale che inizia la battaglia, perché «se non butti giù uno dalle scale, sembra che non hai carattere», come osserva uno sconsolato William Thompson. E anche lui entra nel clima attaccando la polizia per le sue tattiche discriminatorie, a partire dalla tattica dello stop and frisk, ovvero “ferma e perquisisci” guardo caso quasi sempre afroamericani, fortissimamente voluta da Bloomberg. E contro il sindaco si scaglia in tutte le occasioni anche Bill de Blasio, sapendo di colpire come al biliardo anche la Quinn.
«C’è un’atmosfera frizzante», commenta il New York Times.
Molte associazioni sono tornate per la strada, i candidati sono incoraggiati e spronati da continui dibattiti. L’unico candidato repubblicano
con qualche minima chance è Joe Lhota, così la parte democratica si gode la pressoché certezza matematica di scacciare la maledizione e tornare a riprendersi quel potere che manca dal 1994. New York oggi è una città piena di contraddizioni: il Pil cresce più di quello nazionale, il 6% delle famiglie guadagna più di 200mila dollari all’anno, sempre più start up la scelgono come sede al posto della Silicon Valley, la criminalità è al minimo storico. Ma le scuole, le case, il dopo Sandy, gli homeless in vertiginoso aumento, il sistema delle pensioni, centinaia di contratti nel pubblico impiego sono le priorità che il successore di Bloomberg dovrà affrontare. La campagna elettorale corre tra speranza e paura. Tutti i candidati puntano sulla parte povera di New York, quella da tenere attaccata al treno di Manhattan: «Voglio essere il sindaco di tutti», ripete Thompson. E De Blasio appare spesso con la figlia che sembra una squatter e urla: «I padroni delle abitazioni sono dei criminali, sono loro che alzano i prezzi a dismisura ». Poi ci sono i latinos, che come già per Obama, potrebbero essere decisivi, tanto che tutti provano discorsi in spagnolo e distribuiscono volantini bilingue.
È domenica mattina, alcuni sostenitori della Quinn pattugliano Chelsea annunciando un’iniziativa pubblica. Una coppia gay si ferma: «Non avrete il nostro voto, lei non è una di noi». I ragazzi incalzano: «Prima ascoltatela». Ma niente da fare: «Non è come noi», ripetono.
E in questa piccola crepa e nella scarsa personalità degli altri politici che Weiner spera ancora di rimanere aggrappato allo scoglio del suo sogno. Si gode piccoli segnali, come in una chiesa di Laurelton nel Queens giovedì scorso. È pomeriggio tardi, piove una strana pioggia d’autunno. Fa freddo. Lui arriva veloce e l’espressione è ormai pietrificata in una smorfia quasi di scusa perenne: «Affronteremo insieme le sfide difficili che ci aspettano, so che sarà dura, ma io non mi arrendo: lotterò sino alla fine per diventare sindaco», fa una piccola pausa quasi a guardare l’effetto che fa e indossa una specie di sorriso quando sente la gente applaudire. Alex appoggiato al muro urla il suo nome: «Io lo voterò, mi fido di lui». Seduta nelle ultime file c’è Nancy, che abita in questa strada ed è un’impiegata comunale: «È un cretino. Con la sua bravura, con la sua energia avrebbe portato lontano questa città. Ma guarda te che ha combinato ». Ci pensa su ancora un po’ e poi ripete come dispiaciuta: «È proprio un cretino».


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