Con la crisi Nord e Sud sempre più distanti

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MILANO — La classifica non è per niente incoraggiante, perché ci sono solo «segni meno». Eppure, anche questa volta, è la Lombardia la regione italiana in testa alla lista. Il metro di misura è la doppia, grande, recessione italiana: quella iniziata nel 2008, sospesa con una breve pausa nel 2010, ritornata con la crisi del debito e ora, pare, agli sgoccioli. Ebbene, nei sei anni «neri» dal 2008 al 2013 — includendo quindi le stime sull’anno in corso — il Pil italiano ha perso più dell’8 per cento, quello lombardo invece «solo» il 4 per cento circa. Insomma, più o meno la metà. Questa volta, poi, non si tratta di una questione nordista. Ma di un’«eccezione» essenzialmente lombarda. Perché, sconfinando a ovest in Piemonte o a est in Veneto, il Pil sprofonda con tassi intorno alla doppia cifra, ben lontani dal calo più contenuto della Lombardia. Secondo lo Svimez, infatti, il Prodotto interno lordo del Veneto è sceso dell’8,1% tra 2008 e 2012 e dovrebbe perdere un ulteriore 1,7% quest’anno. Numeri simili in Piemonte: -8,4% nel lustro e -2,6% nel 2013. Il calo del Pil piemontese previsto nel 2013 — appunto -2,6% — vale da solo tutta la diminuzione del reddito lombardo dal 2008 al 2012. Poi, quest’anno, lo Svimez stima per la regione «locomotiva d’Italia» un ulteriore calo dell’1,5%.
Ma l’eccezione lombarda — intesa come una recessione sicuramente pesante ma meno forte che altrove — non si ferma ai dati sul Pil. E riguarda anche l’occupazione. Come? La classifica questa volta è provinciale. E in testa ci sono Lecco, Piacenza, Monza-Brianza e Milano: tre province lombarde su quattro, più una — Piacenza — a un tiro di schioppo da Pavia e Milano. Secondo il sistema informativo Excelsior (Unioncamere e ministero del Lavoro) il saldo occupazionale nel 2013 — vale a dire la differenza tra entrate e uscite nel mondo del lavoro — dovrebbe essere negativo dello 0,9% a Lecco e Piacenza, dell’1% in Monza-Brianza e dell’1,1% a Milano. Sono dati negativi, ma del tipo «zero virgola» o giù di lì, in una classifica che non solo è tutta negativa, ma arriva fino al -5,2% di Ragusa e Nuoro e al -6,6% di Enna. In mezzo, tra il quadrilatero quasi tutto lombardo e il «podio rovesciato insulare», ci sono tutte le altre province d’Italia, con una media del -2,2%.
Eppure, le cose più o meno si capovolgono in un capitolo fondamentale dell’economia italiana: quello dell’export. Considerando la crescita delle esportazioni nel 2012, in vetta alla classifica ci sono il Sud e le Isole (+7,8%), seguiti dal Centro (+6,3%), dal Nord Ovest (+3,5%) e, ultimo, dal Nord Est (+1,1%). I dati, raccolti dalla Banca d’Italia, scendono poi nel dettaglio delle singole regioni. Certo, si tratta di variazioni e non del totale dell’export, ma colpisce comunque l’aumento del 21,5% delle vendite all’estero registrato dalla Sardegna, così come il +21,2% della Sicilia. Bene anche Umbria (+7,6%), Marche (+6%) e Lazio (+5,1%). «Benino» Liguria (+4,1%), Lombardia (+3,7%) e Piemonte (+2,9%) . Ben più modesta, invece, la crescita dell’export veneto (+1,6%) e addirittura decisamente negativo il dato del Friuli-Venezia Giulia (-8,9%).
E adesso? Che cosa succederà nel 2014? Qualcuno, come lo Svimez, ha cercato di fare un pronostico sul quadro dell’economia italiana nell’anno che, stando alle stime, dovrebbe essere quello della ripresa. Il risultato? L’exploit delle esportazioni «sotto la linea gotica» dell’anno scorso non basterà al Centro-Sud per recuperare terreno nel divario con il Nord. Anzi. Secondo le previsioni, nel 2014 il Pil crescerà dell’1% al Nord, dello 0,4% al Centro e di appena lo 0,1% al Sud. Di nuovo, a guidare la classifica regionale è la Lombardia, ora in compagnia di Emilia Romagna e Friuli-Venezia Giulia: l’economia delle tre regioni dovrebbe crescere dell’1,2%. Seguono Veneto (+1%) e Piemonte (+0,7%). Ultime nella lista, e uniche con un tasso ancora negativo, sono Sardegna e Calabria (entrambe in calo dello 0,1%). La Calabria, tra l’altro, è la regione che nel 2012 ha registrato il Prodotto interno lordo pro capite più basso d’Italia: 16.460 euro, meno della metà dei 33.443 euro della Lombardia. Il divario, quindi, è destinato a crescere ancora. In tempi di recessione così come in tempi di crescita.
Giovanni Stringa


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