Letta: sul Cavaliere il Pd farà la cosa giusta

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VIENNA — Si fida di Berlusconi? «Mi fido del fatto che il partito di Berlusconi assumerà le sue decisioni e si assumerà la responsabilità delle sue decisioni».
Alla fine Enrico Letta è intervenuto. Voleva starne fuori, aveva proclamato l’intenzione di tenere ben distinte l’attività di governo e il dibattito politico sulla sentenza contro il Cavaliere, ma qui a Vienna, appena arrivato, alla tv austriaca, prima di una cena con il primo ministro, il presidente del Consiglio ha pronunciato parole insieme di fiducia e dure, preoccupate e di speranza.
La fiducia sarà forse flebile ma resta, ed è verso le decisioni che Berlusconi e il suo partito prenderanno nei prossimi giorni. C’è il rischio di una crisi di governo al buio, ma Letta auspica che il Pdl farà scelte non avventate, che le farà in modo responsabile e soprattutto che se ne assumerà la responsabilità.
Ci sono insieme una traccia di avvertimento e una di attesa. Che Letta sia preoccupato lo dimostra la necessità di intervenire, non appena messo piede a Vienna. Ma nonostante tutto c’è quell’espressione di fiducia, già trapelata ieri, che non viene a mancare. Fiducia che esprime anche verso il suo partito. A colazione si è visto a lungo, a Palazzo Chigi, prima di partire, con il segretario del Pd, Guglielmo Epifani. Ne è emersa un’intesa piena su tutti i temi più importanti. Compreso ovviamente quello dell’atteggiamento del Pd in sede di discussione parlamentare sulla decadenza di Berlusconi dalla carica di senatore: «Il Parlamento si pronuncerà applicando le leggi, il Pd deciderà in commissione — dice Letta — e le decisioni che assumerà per quanto mi riguarda saranno le decisioni giuste». Un modo per dire che non tocca a lui mettere bocca su un procedimento parlamentare, per quanto politico e molto delicato, ma anche per lasciare intendere che non vede margini di flessibilità tali da ritenere che il Pd possa cambiare la linea già emersa in questi giorni, ovvero un voto favorevole alla decadenza del Cavaliere.
Temi ovviamente su cui ogni parola viene attentamente misurata: è la prima volta che il capo del governo ostenta la consapevolezza che il suo esecutivo è a forte rischio, eppure dice di essere ancora «ottimista», perché «questa maggioranza» ha bisogno di continuare a lavorare, «come abbiamo fatto in questi cento giorni», che dimostrano che «il governo può lavorare e ottenere risultati».
Il tutto in un solco che più istituzionale non potrebbe essere: «Il mio è un governo parlamentare di grande coalizione e deve la sua fiducia al presidente della Repubblica e al Parlamento», aggiunge Letta, mentre si dice convinto che «gli italiani conoscano i costi che avrebbe l’interruzione di un processo virtuoso che ci darebbe la possibilità di agganciare la ripresa». Una ripresa, ribadisce ancora, che «è a portata di mano e che sarebbe sbagliato non cogliere».
Insomma c’è l’avvertimento, la fiducia e anche la richiesta di soppesare bene questi dati: il 70% dell’elettorato del Pdl, dicono a Palazzo Chigi, vuole che questo governo continui la sua azione; per l’85% degli italiani, aggiungono nello staff del premier, la priorità del Paese è uscire dalla crisi. Sono dati che il Cavaliere può non prendere in considerazione? Questo sembra chiedere e chiedersi il capo del governo.
Venerdì prossimo, aggiunge Letta, è già fissato un Consiglio dei ministri, mentre il 28 agosto sul tavolo del Cdm arriveranno i dossier caldi su fisco, Imu e Iva in particolare. Insomma, si prenderanno delle decisioni sulle quali è nato questo esecutivo, che stanno care anche al Pdl, che servono ad uscire dalla crisi. In Italia «servono meno parole, più fatti, meno polemiche, più cose concrete e costruttive». L’unico modo per diventare un Paese «normale» è proprio nella ricetta che in altri Paesi è più semplice e comune, quella della «stabilità».
Insieme alla moglie, alle otto di sera, il capo del governo visita la cattedrale di Santo Stefano, poi si reca a cena con il premier austriaco. Gli è stato chiesto della grazia a Berlusconi, la risposta è meno articolata e diversamente non sarebbe potuto essere: «Non sono il presidente della Repubblica e non è in mio potere».
Marco Galluzzo


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