Italia più «sicura» della Finlandia

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Secondo i dati di Antigone si arriva a 170 detenuti per 100 posti letto. L’Italia però è anche il paese con un indice di omicidi tra i più bassi del vecchio continente, ben al di sotto della media europea: poco meno di un omicidio ogni 100mila abitanti contro quasi il doppio della media dei paesi Ue.
Il Ministero degli Interni, lo stesso che ha proposto a fine luglio un nuovo pacchetto sicurezza, ha diffuso nei giorni scorsi alcuni dati di assoluta tranquillità. L’Italia, contro ogni stereotipo o commento da bar, è un paese dove il rischio di essere ammazzati è molto più basso che in tante altre democrazie. Tra l’1 agosto 2012 e il 31 luglio 2013 le persone decedute a seguito di un incidente stradale sono state 1.987. Le persone assassinate volontariamente nello stesso arco di tempo nel nostro Paese sono state 505. Un dato basso rispetto alla media europea. Nella sola città di New York nel 2012 gli omicidi sono stati 414, anch’essi a loro volta talmente pochi rispetto alla tradizione newyorkese da far esultare il sindaco Bloomberg. Si pensi che nella città americana gli omicidi nel 2009 erano stati ben 1.420. In Italia quindi si muore molto di più per incidente stradale che non per omicidio. I dati forniti dal Viminale segnano il minimo storico di omicidi da oltre quarant’anni a questa parte. Se oggi gli omicidi volontari sono poco più di 500 l’anno, va rammentato che sono stati 2.927 nel 1948, 2.380 nel 1951, 1.610 nel 1.961, 1.497 nel 1.971, 2.453 nel 1.981, 1.901 nel 1.991 e 771 nel 2001. 102 sono stati gli omicidi commessi in ambito familiare. 65 di questi sono stati compiuti dal partner o dall’ex partner. I restanti 37 sono stati commessi da altro familiare.
Complessivamente 75 sono stati i cosiddetti femminicidi. Secondo i dati Eures sarebbe un numero, anche questo, tra i più bassi di Europa. Se questi sono i numeri allora possiamo definirci un paese sicuro? E come si giustificano le campagne allarmistiche sulla criminalità mentre il numero degli omicidi diminuiva? Come mai è cresciuta l’attenzione mediatica agli omicidi consumati in famiglia ai danni di donne mentre il numero totale di questi ultimi era anch’esso in calo? Come mai abbiamo carceri affollate e allo stesso tempo pochi reati gravissimi contro la persona? In Italia probabilmente ci sono oggi meno omicidi di criminalità organizzata perché quest’ultima presenta rispetto al passato una maggiore liquidità di azione. Per fare reddito «sporco» oggi è meno necessario rischiare in attività violente sul territorio. Ammazzare significa scatenare una reazione giudiziaria e di polizia. Meglio essere meno visibili e meno cruenti, se il reddito non cala. Anche la criminalità comune ammazza «meno». Le rapine e i sequestri che finiscono male si sono ridotti nel tempo. Si pensi al ruolo avuto negli anni Ottanta da bande violente che ammazzavano con grande facilità a Roma come in Veneto. Oggi sarebbe impensabile il successo di una serie di film come quelli con Thomas Milian.
Anche gli omicidi in famiglia si sono ridotti. In questo caso potrebbe avere avuto un ruolo la legge sullo stalking del 2009. Le denunce per stalking sono state nell’ultimo anno 9.116, di cui tre su quattro effettuate da donne. Inoltre, sempre a partire dal 2009, anno di entrata in vigore della legge, le donne hanno incominciato sempre di più a denunciare partner ed ex partner. È stato questo a produrre una flessione numerica dei femminicidi oppure ha contato la maggiore attenzione al tema da parte dei media e più in generale dell’opinione pubblica? Oggi tutti, non sempre con cognizione di causa, parlano di femminicidio. La violenza di genere è un tema che va nelle viscere della società. Richiede una riflessione sul modello culturale patriarcale, sulla qualità asimmetrica delle relazioni, sul welfare escludente. Alla luce dei dati oggettivi non richiede però un reato ad hoc. Parlarne a tutti i livelli fa bene alla crescita sociale e culturale del paese. L’esito peggiore di questa ondata di indignazione sarebbe però un ulteriore irrigidimento delle già severe norme penali, visto che con quelle già in vigore si ammazza percentualmente meno che in passato o che in molti altri paesi europei.
Come spiegare quindi quello che è accaduto negli ultimi anni? Piuttosto che imbarcarsi in risposte che difetterebbero comunque di completezza si può sottolineare che: 1) non esiste una emergenza criminalità; 2) non si giustificano misure penali nuove nel nome della lotta a questo o quel crimine violento; 3) la vita è più al sicuro in Italia che in Finlandia; 4) le carceri sono invece ugualmente strapiene grazie all’incarceramento di massa degli esclusi dallo stato sociale; 5) le campagne sulla sicurezza sono state create ad arte negli ultimi anni solo per drenare facile consenso.
Dai dati del ministero dell’Interno si evince che molta attività di polizia è stata diretta ad assicurare ordine pubblico nelle oltre 10mila manifestazioni di piazza e nelle quasi 3mila manifestazioni sportive. Immaginate quanto lavoro di prevenzione criminale ulteriore sarebbe possibile se ci si fidasse di più di studenti e lavoratori che legittimamente protestano senza ingabbiarli in marcature di polizia ad uomo e se gli stadi di calcio si smilitarizzassero. A proposito di calcio, nel pacchetto sicurezza è comparsa la norma che proroga al 2016 la possibilità di arrestare in flagranza differita un tifoso violento. L’arresto in flagranza differita è un non-senso giuridico. Inoltre prevedere norme di procedura penale a termine è ben poco liberale. Preso quindi atto che non viviamo nel «far west» possiamo tranquillamente e serenamente decongestionare le carceri di chi vi è andato a finire senza avere messo a rischio la sicurezza personale di qualcun altro o della collettività, ovvero principalmente tossicodipendenti e immigrati, trasformati nei nuovi nemici urbani. La lettura delle biografie penali dei detenuti in Italia aiuterebbe ad assumere provvedimenti che ci riportino nella legalità penitenziaria.
Infine, sarebbe cosa buona e giusta finalmente introdurre il delitto di tortura nel codice penale. In senato vi è un testo unificato da cui dovrà partire il dibattito. Ha prevalso la tesi secondo cui il delitto debba essere un delitto generico e non un delitto proprio e esclusivo del pubblico ufficiale. La tortura sarebbe quindi un crimine comune e non tipico di chi esercita funzioni di polizia. Un’insensatezza giuridica in conflitto con la definizione Onu ma anche una insensatezza storica e logica visto che la tortura è un crimine contro l’umanità, al pari del genocidio. Speriamo ci ripensino.

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75 FEMMINICIDI
Secondo i dati ufficiali del Viminale per il periodo 31 luglio 2012-1 agosto 2013 le donne uccise sono state 75. I morti in incidenti stradali invece sono stati 1.987.

* presidente di Antigone


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