Siria, Parigi invoca una «risposta forte»

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BRUXELLES — Se le accuse al governo siriano sull’attacco con armi chimiche alla periferia di Damasco risulteranno fondate, dovremo «rispondere con forza»: le parole del ministro degli Esteri francese Laurent Fabius aprono una giornata di reazioni e interrogativi sulle effettive possibilità di fermare il massacro siriano. E la comunità internazionale torna a dividersi in schieramenti da Guerra fredda che si affrontano a colpi di dichiarazioni sempre più forti in uno scenario di fatto bloccato.
Del tutto escluso l’invio di truppe sul terreno, precisa Fabius senza fornire dettagli sulle possibili alternative. Le cancellerie europee invocano un’inchiesta urgente sul presunto uso di gas nervino. Secondo l’opposizione siriana oltre mille persone sono state uccise nel sonno. Dopo il nulla di fatto della riunione d’emergenza del Consiglio di sicurezza di mercoledì notte, il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon ha chiesto al presidente Bashar Assad di dare l’immediato via libera alle verifiche degli osservatori Onu, in queste ore a Damasco per condurre indagini su passate violenze. «Siamo a sette chilometri dalla delegazione, cinque minuti di macchina» incalzano gli attivisti a Damasco. Un attacco con gas da parte delle forze siriane potrebbe configurarsi come una violazione del principio sancito dall’Onu della «Responsabilità di proteggere» già evocato in Libia: ogni Stato ha la responsabilità, non solo il diritto, di proteggere la popolazione da crimini di guerra e contro l’umanità.
L’Europa osserva. Le ipotesi d’intervento vanno dalla creazione di una no-fly zone agli attacchi aerei al sostegno militare ai ribelli. Prospettive impraticabili senza il supporto americano. Secondo il quotidiano francese Le Figaro gli Usa puntano sull’addestramento di forze anti Assad in Giordania e sarebbero dietro un’offensiva dell’Esercito siriano libero partita a metà agosto: la strage di mercoledì notte sarebbe la reazione del regime. L’uso di armi non convenzionali era «la linea rossa» evocata dal presidente Barack Obama come spartiacque tra il tempo della condanna e quello dell’azione. «Uso probabile», ha detto ieri il francese François Hollande rompendo gli indugi. L’indignazione sollevata dai nuovi video sottopone Obama a pesanti pressioni. Il senatore repubblicano John McCain gli ha contestato «un atteggiamento passivo» che autorizza Assad a sterminare il suo popolo. In serata la nota del Dipartimento di Stato: «Se gli attacchi fossero veri rappresenterebbero un’evidente escalation. Crediamo che i ribelli siriani non abbiano la capacità di usare armi chimiche, il presidente Obama ha chiesto all’Intelligence di indagare». Il segretario di Stato John Kerry ha avviato consultazioni da Doha a Bruxelles. Gran Bretagna e Germania chiedono misure urgenti ma condizionate a una verifica indipendente dei fatti, Turchia e Israele vogliono accelerare. Per Ankara «la linea rossa è stata oltrepassata da tempo» mentre il premier israeliano Benjamin Netanyahu ricorda le mire nucleari di Teheran: «La Siria è il terreno di prova dell’Iran, che guarda attentamente se e come il mondo risponderà». Assad, spalleggiato da Russia e Cina, respinge le accuse e denuncia una guerra mediatica.
Maria Serena Natale


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