Matt, il fotografo sfuggito ai jihadisti «Torturato nelle prigioni di Aleppo»

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II suo compagno di cella, un altro americano, non riesce a strisciar fuori dalla fessura ricavata staccando una grata. Ci passa solo un braccio e la testa. E’ rimasto là. «Vado a cercare aiuto» gli dice Schrier, mentre una luce minacciosa si accende al piano di sopra.
Con i piedi doloranti per le scarpe troppo strette il fotografo si imbatte in un gruppo di ribelli «buoni», che lo accompagnano alla frontiera turca. La sua storia, raccontata a C.J. Chivers del New York Times , getta una luce rara sulle prigioni dei ribelli, anche se la frammentazione della guerriglia rende ogni vicenda unica. Oltre 15 occidentali (quasi tutti giornalisti) sono stati sequestrati quest’anno in Siria. I rapitori di Schrier appartenevano al Fronte Nusra, estremisti islamici allineati con Al Qaeda. I confini tra le sigle non sono ben definiti, se è vero che per un certo periodo Schrier è stato nelle mani di Ahrar al-Sham, gruppo islamista che collabora con il Free Syrian Army sostenuto da governi arabi e occidentali.
In sette mesi Schrier ha incontrato altri prigionieri: soldati di Assad, miliziani lealisti. Il Times non fa parola di altri ostaggi occidentali, neppure italiani: il giornalista della Stampa Domenico Quirico e padre Paolo Dall’Oglio. Il primo sarebbe caduto vittima di criminali comuni, il secondo della fazione jihadista «Emirato di Tal al Abiad».
In un Paese dilaniato dalla guerra civile, il carcere di Schrier è assurdo e assortito: oltre ai due americani e ai soldati di Assad, civili fermati per dispute ordinarie, un dentista, un meccanico che ha ingannato un cliente con un pezzo di ricambio rotto. Tre uomini incappucciati in perfetto inglese (secondo Schrier arabo-canadesi) gli chiedono se abbia mai servito nell’esercito e se appartiene alla Cia. Lui risponde con la storia di un ragazzo che ha studiato cinematografia, passato anni a vendere assicurazioni prima di partire nel novembre 2012 per il Medio Oriente. A dicembre entra in Siria dal confine turco, sta con un gruppo di ribelli che assediano una base aeronautica. Quando si tratta di uscire, l’autista lo tradisce. I tre che lo interrogano gli ordinano di rivelare password per il conto bancario online, la posta elettronica e l’account Facebook.
Su Internet i suoi aguzzini gli prosciugano il conto e fanno shopping su e-Bay, acquistando tablet e ricambi Mercedes. Rispondono loro ai messaggi della madre di Matthew: «Tranquilla mamma, lavoro molto e mi diverto, mi sa che starò qui ancora per un po’ ».
«Matt, ti troverò» gli scrive la madre. Il 6 febbraio i due americani cercano di fuggire. Scoperti, vengono picchiati e frustati fino a che non riescono più a camminare. Da lì in poi saranno più volte vittime di percosse, o colpiti dalle scosse elettriche di pistole Taser. A marzo il fotografo accetta di convertirsi all’Islam e i suoi rapporti con i rapitori migliorano. Cambiano spesso covo. Ad aprile sono in una villa di campagna, dove i carcerieri «educano» un ragazzino di 12 anni a picchiare i detenuti e a colpirli con il Taser.
L’incubo finisce la notte della fuga: la fessura da allargare, il compagno che non passa. Un povero montecristo con i piedi rotti e il barbone. Matt è tornato. Altri quindici sono ancora là.
Michele Farina


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