Tre giorni di fuoco per «punire» Assad

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Se poi Obama ci ripensa tutto può essere fatto rientrare. Indiscrezioni inverificabili trapelate sulla rete Nbc ipotizzano «tre giorni di operazioni», probabilmente a partire dalla notte tra giovedì e venerdì. Esclusi una no-fly zone e il ricorso a forze terrestri, il presidente ha chiesto un’azione mirata e limitata.
Gli americani — e non è un segreto — hanno in zona quattro unità navali in grado di «battere» i bersagli siriani con i missili da crociera Tomahawk (costo unitario di 1,5 milioni di dollari). Ognuna ne trasporta 24. Al loro fianco un sottomarino britannico della classe Trafalgar, dotato delle stesse armi. Poi alcune navi in appoggio. Nascosti da qualche parte forse un paio di «squali» nucleari Usa, sempre armati con i cruise. Gli esperti, però, non escludono che il Pentagono possa mobilitare alcuni dei suoi bombardieri strategici (come B2 e B52), che partono direttamente dagli Usa ed altri mezzi rimasti per ora al coperto. Velivoli che sono in grado di sparare missili (costo 700 mila dollari) senza entrare nei confini siriani. Gli Stati Uniti avrebbero poi chiesto ai greci la disponibilità della base di Kalamata, nel Peloponneso, e quella di Souda Bay, a Creta.
I britannici, invece, dispongono della pista di Akrotiri a Cipro: ieri sono stati segnalati e smentiti movimenti di aerei militari legati ad un possibile blitz. Non è ancora del tutto chiaro quali altri paesi sono pronti ad unirsi alla mini-coalizione. Turchia e Francia hanno detto di essere pronte, identica la posizione della Danimarca. Si è parlato di un possibile spostamento della portaerei «Charles De Gaulle» ma ieri era segnalata a Tolone. Politico il supporto degli Stati arabi, come l’Arabia Saudita e il Qatar, grandi finanziatori della rivolta. Più in chiave difensiva, nel caso di rappresaglie, la consultazione che Washington ha avviato con altri partner. A questo è servita la riunione di lunedì ad Amman alla quale hanno partecipato i capi di stato maggiore di nove Paesi, tra cui quello italiano. Gli strateghi devono sempre considerare come potrebbe reagire il regime e studiare eventuali contromosse. Parare colpi convenzionali e azioni clandestine, a cominciare dal terrorismo. Lo avevamo anticipato ieri: alcune fazioni estremiste — come il Fronte di Ahmed Jibril — hanno promesso vendetta. E molto dipenderà dall’entità della mazzata che gli Stati Uniti daranno.
Il Pentagono si è preparato da mesi, aggiornando la lista degli obiettivi secondo quanto accadeva sul terreno. Secondo il New York Times sono almeno 50. Una scelta determinata anche dai rapporti di intelligence. L’ultimo — la cui pubblicazione è data per imminente — è stato presentato a Obama e verrà girato agli alleati per mostrare le prove sull’utilizzo dai gas da parte del regime. Un dossier che deve indicare i responsabili del massacro. Informazioni ufficiose, emerse nei giorni scorsi, hanno indicato tra i possibili colpevoli i reparti scelti della IV Divisione guidata da Maher Assad e in particolare la 155esima Brigata ritenuta coinvolta nell’assalto a Ghouta.
I missili servono per neutralizzare sistemi per la difesa aerea, depositi, centri di comando e controllo, caserme sul monte Qasiun, sedi dell’intelligence dell’aeronautica, un apparato chiave per la repressione. Incertezza se anche gli impianti di ricerca sulle armi chimiche finiranno nella linea di tiro. Si tratti di centri — come quello di Al Safir — composti da laboratori, silos, bunker e apparati di difesa. Fonti militari Usa affermano che sarebbero stati esclusi dall’elenco: c’è il timore che le esplosioni causate da un bombardamento possano innescare «nuvole» di gas legale che investirebbero i civili. Effetti collaterali che l’amministrazione cerca di evitare.
Nel mirino ci sono invece batterie di missili terra-terra Scud schierate nella regione di Damasco, ordigni impiegati più volte contro la popolazione civile con effetti devastanti. È possibile anche che la «ramazza» americana si occupi delle basi dell’aviazione: se Assad ha tenuto lo deve a caccia ed elicotteri. Il dibattito sulle armi chimiche ha finito per nascondere una realtà non meno brutale. In Siria non c’è bisogno di sistemi non convenzionali per sterminare il prossimo. Bastano dei vecchi fucili d’assalto Kalashnikov per mietere migliaia di essere umani.
La tabella di marcia di un’eventuale operazione è peraltro stretta. Qualcuno ipotizza i «tre giorni» (magari anche qualcuno in più) perché Obama ha già un’agenda di viaggio programmata ed è possibile che voglia partire senza dover seguire i dettagli (e le sorprese) di un blitz. Il 4 settembre sarà in Svezia e poi dovrà trasferirsi in Russia per il vertice del G20. Difficile che si presenti agli interlocutori stranieri mentre sfrecciano razzi e jet. È pur sempre il Nobel per la pace.
Guido Olimpio


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