Al Sisi avverte gli islamisti “Basta violenze o reagiremo”

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IL CAIRO. IL GENERALE Abdel Fatah al-Sisi ha finalmente parlato. IL DEMIURGO del colpo di stato, con cui il 30 giugno scorso è stato deposto il presidente Mohammed Morsi, ha parlato ma non ha detto nulla di nuovo, nulla che non si sapesse o che non avesse già fatto dire al governo ad interim da lui stesso di fatto nominato. Nel messaggio pubblicato sulla pagina Facebook dell’Esercito egiziano, il generale Sisi dichiara che il suo Paese si ergerà contro ogni tentativo di bruciare istituzioni governative o religiose. «Noi siamo più che disposti a tutelare l’Islam nella sua corretta interpretazione, con i principi tolleranti che sono ben lontani dal terrorizzare i cittadini. Ma non rimarremo in silenzio di fronte alla distruzione del paese e al rogo di istituzioni religiose », ha detto riferendosi alle decine di chiese cristiane date alle fiamme in questi giorni.
Le sole parole concilianti espresse dal capo delle forze armate egiziane, rivolte ai sostenitori di Morsi per esortarli a rivedere le loro posizioni, sono state: «In Egitto c’è posto per tutti ». Sisi non ha accennato a quanto detto due
giorni fa da un portavoce del governo del Cairo sulle misure allo studio per mettere al bando la confraternita. Il generale ha infine lanciato un duro monito contro il ricorso alla violenza e ha avvertito che l’esercito reagirà energicamente: «Chi pensa che la violenza possa piegare lo stato e gli egiziani, farebbe meglio a ripensarci».
Intanto, pur lanciando anatemi contro l’amministrazione Obama, colpevole ai suoi occhi di aver sostenuto il governo dei Fratelli musulmani, il generale Sissi, dai giorni in cui era a capo dell’intelligence militare egiziana, avrebbe mantenuto ottimi rapporti con gli israeliani. In questi giorni drammatici, scriveva ieri il New York Times, gli 007 dello Stato ebraico lo starebbero rassicurando sul fatto che gli Stati Uniti non taglieranno gli aiuti all’Egitto, pari a 1miliardo e mezzo di dollari: sorta d’ipoteca sul rispetto degli accordi di Camp David e sullo scorrevole svolgimento della strategia americana in Medio Oriente.
Dopo i violenti scontri dei giorni scorsi, con un bilancio ufficiale che supera 750 morti, ieri le forze di sicurezza hanno potuto saggiare quanto l’organizzazione della confraternita fosse stata danneggiata dagli arresti (oltre duemila persone, tra cui molti leader) e dalle numerose vittime tra le sue fila. Nel pomeriggio, dopo aver minacciato di far convergere verso il palazzo presidenziale e la corte costituzionale del Cairo nove cortei, l’Alleanza
islamista ha finalmente annullato le manifestazioni «per ragioni di sicurezza». Nonostante questa decisione, poche centinaia di confratelli hanno ugualmente compiuto marce spontanee nel centro della capitale.
In serata le agenzie hanno battuto una notizia che può illustrare il clima di violenza che in queste ore regna in Egitto: 38 attivisti pro-Morsi, arrestati sabato scorso nello sgombero della moschea Al Fath, sono stati uccisi durante il loro trasferimento in prigione. Secondo alcune fonti, i prigionieri sarebbero riusciti a catturare un agente, e mentre cercavano di negoziare il suo rilascio in cambio della fuga, un altro poliziotto avrebbe infilato la canna del suo fucile tra le grate del blindato che li trasportava e aperto il fuoco. Ma circola anche un’altra versione sull’accaduto, secondo cui gli attivisti sarebbero rimasti uccisi dalle fiamme degli incendi che avevano appiccato nel tentativo di fuggire. Per il ministero dell’Interno «un numero imprecisato di detenuti ha perso la vita dopo aver cercato di scappare » dalla prigione.
Sempre ieri, lo stesso ministero ha dichiarato fuorilegge i comitati popolari, quelle milizie di quartiere anti-islamiche che nei giorni scorsi, soprattutto al Cairo, hanno aperto il fuoco sui sostenitori del presidente deposto provocando verosimilmente tanti morti quanti le forze di sicurezza e gli elicotteri da guerra. In un comunicato, il ministero spiega di essere giunto a questa decisione perché i comitati compiono “azioni illegali”, anche sistemando check-point ai quali sono fermate soprattutto le auto con a bordo uomini barbuti e donne velate. Senza contare che, davanti alla moschea Al Fath, la polizia è stata costretta a proteggere i confratelli usciti dall’edificio e presi a sprangate dai vigilantes dei comitati popolari.
Infine, l’ex vice presidente ad interim e premio Nobel per la pace, Mohamed El Baradei, si è imbarcato su un volo diretto a Vienna, dove ha vissuto a lungo quando era a capo dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica. El Baradei, leader del fronte laico e voce fortemente critica del governo Morsi, mercoledì aveva presentato le sue dimissioni contestando la decisione del governo di lanciare la sanguinosa repressione e affermando di «non voler essere responsabile dello spargimento di neanche una goccia di sangue».


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