Conto alla rovescia per l’attacco Francia al fianco di Usa e Gb

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WASHINGTON — Obama pondera bene ogni passo e, privo della copertura dell’Onu, cerca comunque di mettere insieme uno schieramento internazionale disposto a «punire» Assad per la strage compiuta con i gas. Scontato l’appoggio britannico, la Casa Bianca ha incassato il sì netto dei francesi e di altri Stati, europei e arabi. Domani se ne parlerà a livello ufficiale anche alla Nato, che ha previsto una riunione ad hoc sulla crisi. I collaboratori del presidente continuano ad affermare che il presidente è ancora impegnato nella valutazione degli elementi e che l’opzione militare è solo una delle carte considerate. Temi che forse sono stati al centro di una fitta rete di contatti telefonici tra Washington e i principali partner.
Sull’altro fronte i siriani rispondono con discorsi bellicosi. Damasco ha promesso che «si difenderà con ogni mezzo a sua disposizione» e alcuni di questi — ha dichiarato il ministro degli Esteri Walid Muallem «sorprenderanno». Nella sua visione «l’aggressione americana serve solo gli interessi di Israele e di Al Qaeda… Se pensano di fermare in questo modo la vittoria della nostre forze armate si sbagliano». Dichiarazioni risolute che trovano conferme nei continui bombardamenti del regime sui centri abitati.
Gran Bretagna
Il premier David Cameron resta al fianco degli Usa e parla con lo stesso linguaggio. «Non possiamo restare a guardare», ha affermato, ma si deve evitare di aprire un nuovo conflitto. Per questo Londra chiede un’azione «limitata e proporzionata» alla violazione compiuta dalla Siria. Nel «programma» non c’è l’intenzione di rovesciare Assad. Domani, il premier ha convocato i deputati facendoli tornare in anticipo dalle vacanze e spiegherà le future mosse.
Francia
I francesi mantengono alti i toni contro Assad. L’attacco con i gas non può restare senza risposta, serve una punizione per chi ha compiuto i massacri. Questo il messaggio chiaro del presidente Hollande che ha ribadito la volontà di Parigi di non venir meno ai suoi doveri. Una posizione che ricorda quella dell’intervento in Libia per abbattere Gheddafi.
Danimarca
Il capo del governo danese Helle Thorning-Schmidt, dopo aver ricevuto informazioni dettagliate da parte degli Usa, ha schierato il suo Paese in modo chiaro. «Siamo pronti a fare la nostra parte nel caso che l’Onu non trovi soluzioni alternative», ha spiegato sollecitando il Palazzo di Vetro a prendere l’iniziativa.
Turchia
«È un crimine contro l’umanità, dobbiamo reagire», con queste parole i dirigenti turchi hanno rinnovato l’impegno ad agire contro Assad. «Ciò che occorre sia fatto, va fatto. È chiaro che adesso la comunità internazionale si trova di fronte a un test», ha sottolineato il capo della diplomazia Davutoglu. Ankara sembra dunque pronta a partecipare ad una eventuale azione.
Lega Araba
Gelosi, in concorrenza tra loro i paesi del Golfo spingono per l’intervento. I sauditi hanno auspicato una mossa «seria e decisa». Interventista anche il Qatar, più ambigui altri Paesi della regione. Significativo il pronunciamento della Lega Araba che amplia la copertura diplomatica per gli Usa: in una dichiarazione ufficiale è stato lanciato un atto di accusa contro Assad.
Russia
Mosca continua nel mettere in guardia sulle conseguenze catastrofiche di un eventuale raid e sul fatto che gli americani hanno deciso di lasciar fuori le Nazioni Unite. Ad aggiungere irritazione la mossa americana di cancellare un incontro previsto per oggi all’Aja dove Russia e Usa dovevano parlare proprio di Siria. Intanto il Cremlino pensa ai suoi cittadini nel Paese arabo. Un aereo ha raggiunto ieri Latakia dove ha scaricato aiuti umanitari e imbarcato un centinaio di russi.
Iran
Tuona ancora l’Iran. Un’azione statunitense avrebbe «un effetto destabilizzante per l’intera regione — dicono da Teheran — e rappresenterebbe una minaccia alla sicurezza». I mullah seguono con grande attenzione le sorti dell’amico Assad e studiano. Magari temono che un giorno possa toccare all’Iran, sotto accusa per le ricerche nucleari. Al solito gli eredi di Khomeini hanno ventilato l’ipotesi di conseguenze per Israele.
Israele
Le minacce(velate) nei confronti dello Stato ebraico hanno portato ad una dura reazione del premier Netanyahu. «Se saremo colpiti reagiremo e lo faremo con forza». Israele è felice di vedere Assad nei guai, però teme che il conflitto civile finisca per favorire i jihadisti. In passato ha anche sferrato alcuni attacchi in Siria per distruggere armi destinate probabilmente agli Hezbollah libanesi.
Nazioni Unite
C’è chi le invoca e chi le ignora. Rimaste nel mezzo della crisi, le Nazioni Unite provano a uscirne fuori. I suoi ispettori sono ancora a Damasco e ieri non hanno potuto eseguire le previste ricognizioni nelle zone colpite dai gas. Secondo la versione del regime lo stop è da imputare alle beghe tra i ribelli che hanno impedito l’accesso all’area. Dal Palazzo di Vetro si è fatto vivo il portavoce Farhan Haq che ha polemizzato con gli Usa: se hanno prove sull’utilizzo dei gas le forniscano ai nostri funzionari. L’impegno dell’Onu, ha poi aggiunto, resta per una soluzione politica. Il problema è che i primi ad accettare l’invito devono essere i contendenti. E fino ad oggi hanno dimostrato di non averne alcuna intenzione.


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