DAL POTERE DI REVISIONE A QUELLO COSTITUENTE

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il conferimento della funzione referente ad un unico Comitato (e non alle Commissioni di Camera e Senato); l’attribuzione al Governo di un ruolo determinante ancorché la revisione costituzionale esuli dall’indirizzo politico di maggioranza; la previsione di un crono-programma dei lavori che contrasta con i “tempi lunghi” caratteristici delle leggi di revisione; la riduzione da tre mesi a quarantacinque giorni dell’intervallo tra la prima e la seconda deliberazione per l’approvazione delle leggi costituzionali; infine l’abnorme estensione delle materie potenzialmente soggette a revisione.
Oggetto delle possibili future revisioni previste dal citato ddl sono infatti i titoli I, II, III e V della Parte II della Costituzione, e cioè tutte le norme relative al Parlamento, al Presidente della Repubblica, al Governo e alle Regioni, Province e Comuni, nonché – come improvvidamente aggiunto dal Senato nel luglio scorso – le «disposizioni della Costituzione o di leggi costituzionali strettamente connesse» a tali titoli. Il che significa che potrebbero essere coinvolti anche i titoli IV (Magistratura) e VI (Garanzie costituzionali).
In pratica più di 69 articoli nei quali potrebbero, tra l’altro, rientrare la reintroduzione dell’autorizzazione a procedere; la modifica della disciplina del referendum abrogativo e dei decreti legge; l’eliminazione della maggioranza dei due terzi per l’approvazione delle leggi di amnistia e di indulto; l’istituzione di una Corte di disciplina per tutti i magistrati: materie alle quali vanno aggiunte la possibile modifica della forma di Stato, della forma di governo e del bicameralismo, che originariamente, nell’art. 2 comma 1 del ddl presentato dal Governo, erano indicate come le sole materie passibili di revisione nell’ambito dei titoli I, II, III e V della Parte II.
Il Senato, nel citato emendamento, ha stravolto il disegno governativo. Mentre da un lato ha escluso che le norme modificabili dei titoli I, II, III e V debbano riguardare esclusivamente la forma di Stato, la forma di governo e il bicameralismo, dall’altro ha addirittura esteso l’oggetto delle possibili revisioni alle «disposizioni della Costituzione o di leggi costituzionali strettamente connesse ». Così facendo, il Senato ha talmente ampliato la sfera delle possibili riforme costituzionali da rendere non solo dubbia la possibilità che le future leggi di revisione possano essere effettivamente omogenee e autonome dal punto di vista del contenuto, come previsto dall’art 4 comma 2 del ddl, ma ha finito per trasformare, di fatto, il potere di revisione del Parlamento repubblicano in un eversivo potere costituente. È infatti indubbio che, alla luce di quanto disposto dal ddl come emendato, il Parlamento potrebbe modificare l’intero impianto dell’ordinamento della Repubblica.
Di qui l’auspicio che la Camera, ai primi di settembre, modifichi il ddl, da un lato ripristinando l’originario testo del Governo (che, per quanto discutibile, lo era assai meno di quello emendato dal Senato), dall’altro, eliminando quanto meno l’ambiguo (e pericoloso) accenno alla modifica della “forma di Stato”.
C’è però un altro rilievo che si collega al precedente. Agli osservatori più attenti la scelta sottesa al ddl di modificare contestualmente la forma di Stato, la forma di governo, il bicameralismo e il numero dei parlamentari era subito parsa intimamente contraddittoria sia con la natura emergenziale del Governo Letta sia con l’urgenza di approvare quanto meno la legge elettorale e le leggi costituzionali di riforma del bicameralismo perfetto e del numero dei parlamentari. Se questa tesi – sostenuta anche da Ezio Mauro su queste pagine sin dallo scorso febbraio – fosse stata seguita, ora forse ci troveremmo a metà strada nell’approvazione di almeno un paio di importanti leggi di revisione costituzionale.
Avendo invece il Governo e le forze politiche deciso di seguire la via dell’approvazione di una procedura speciale – necessaria per modificare nel contempo materie tanto differenti tra loro (il che l’art. 138 non consente) – la conseguenza è che la presentazione dei singoli disegni di legge costituzionale non potrà avvenire prima dell’approvazione del ddl cost. n. 813, e cioè non prima della fine dell’anno. A meno che, con un improvviso ravvedimento, il Governo, abbandonata – definitivamente o ad hoc – la via della procedura speciale, approvi al più presto il disegno di legge di riforma del bicameralismo (se non anche altri), seguendo la procedura – semplice, sicura e legittima – dell’art. 138.


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