Il governo: pugno di ferro contro la protesta

by Sergio Segio | 31 Agosto 2013 7:00

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Militari e coprifuoco: a Bogotà e in tutti i municipi «in cui si verifichino disturbi» e si renda necessario «ripristinare la viabilità». Lo ha annunciato il presidente della Colombia, Juan Manuel Santos, dopo gli scontri tra manifestanti e polizia che si sono verificati giovedì nella capitale e che hanno provocato 2 morti e oltre 150 feriti. La marcia era stata indetta per sostenere il “paro agrario”, lo sciopero nazionale a oltranza che sta paralizzando il paese dal 19 agosto. Contadini, trasportatori, minatori informali, operai, studenti, insegnanti, medici si sono mobilitati in tutto il paese, dando voce a uno scontento accumulato e sempre più visibile. Una protesta inizialmente dettata da rivendicazioni economiche – per gli aumenti salariali, contro gli alti costi dei fertilizzanti e del carburante, e contro il Trattato di libero commercio che spiana il campo alle multinazionali e impone privatizzazioni e rincari – ma via via diventata sempre più politica. I temi della riforma agraria, l’assenza di spazi di agibilità democratica e la richiesta di vera rappresentanza fanno parte del pacchetto di proposte su cui i manifestanti esigono un tavolo di dialogo con il governo.
Santos avrebbe voluto trattative a livello locale, mentre i sindacati e le organizzazioni popolari che animano le proteste hanno istituito un coordinamento nazionale, il Tavolo di dialogo e accordo (Mia) ed esigono risposte concrete. In un primo tempo, il governo ha cercato di minimizzare l’ampiezza dello sciopero, dando al contempo mano libera alla repressione e agli arresti di massa in varie località del paese. Contadini e sindacati hanno denunciato ripetute violazioni dei diritti umani, casi purtroppo comuni in Colombia. In seguito, Santos ha dovuto ammettere l’esistenza di una «crisi», anzi di una «tempesta»: i lavoratori scioperano, le merci non circolano e lo sciopero comincia a incidere pesantemente sull’economia nazionale. Le «misure straordinarie» annunciate dalla riunione del Consiglio dei ministri, che si è tenuta ieri, sono state però principalmente di natura repressiva: l’invio di 50.000 soldati per rimuovere blocchi stradali e proteste, «carovane scortate dalla forza pubblica per facilitare l’erntrata e l’uscita dei prodotti dai centri urbani», e una taglia di oltre un milione di pesos (più di 500 mila dollari) per chiunque fornisca informazioni su chi «provoca disturbi». Alle dichiarazioni di Santos e alle misure repressive, i leader della protesta hanno replicato che moltiplicheranno la determinazione e le iniziative.
Intanto, numerosi leader sindacali e contadini sono stati arrestati con l’accusa di mantenere contatti con la guerriglia marxista delle Forze armate rivoluzionarie colombiane (Farc). Fra questi, Hubert Ballesteros, membro del Comitato esecutivo della Centrale unitaria dei lavoratori (Cut) e vicepresidente della Federazione nazionale sindacale unitaria agraria (Fensuagro), portavoce del Mia. Ballesteros è anche uno dei principali dirigenti del Movimento Marcia patriottica, che ha animato le iniziative di sostegno agli accordi di pace in corso all’Avana.
Le trattative, che riprenderanno il 9 settembre, attraversano un momento delicato, dovuto alla proposta di Santos di sottoporre a referendum i risultati raggiunti dalle parti: in primo luogo la riforma agraria e l’apertura di spazi sicuri per l’opposizione politica e sociale, ma anche un bilancio storico sulla natura e le conseguenze di un conflitto armato che dura dagli anni ’60. Santos vorrebbe portare a casa un risultato prima di novembre, quando deciderà se candidarsi alle presidenziali. Per questo, con la mediazione della Croce rossa, ha annunciato trattative di dialogo anche con l’Esercito di liberazione nazionale (Eln), la seconda guerriglia del paese. Se le trattative vanno in porto, la Corte costituzionale ha già disposto il quadro giuridico in cui potrebbero attuarsi.
Ma per ora il dialogo non corre per le vie del paese: «Stiamo soffrendo la peggior crisi e la peggior rovina di tutta la nostra storia», dichiarano i portavoce del Mia.

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