Il paradosso del Cavaliere
Paradossalmente, un Berlusconi fuori dai giochi è la miglior polizza d’assicurazione per il governo delle larghe intese. Mentre un voltafaccia del Pd in materia scatenerebbe un tale terremoto politico da non escludere anche il voto anticipato.
Proviamo a immaginare gli scenari. Una volta sancita la decadenza di Berlusconi da senatore, l’ultima cosa che conviene alla destra è il ritorno alle urne. Berlusconi dovrebbe rinunciare all’unico salvacondotto che gli rimane, il potere di condizionare la maggioranza di governo, per avventurarsi a un voto autunnale drammatico e rischiosissimo. Gli italiani probabilmente punirebbero chi ha provocato una crisi di governo per problemi personali. In ogni caso la destra, si chiami Pdl o Forza Italia, dovrebbe affrontare la campagna elettorale senza l’arma più potente: la presenza sul campo del suo leader, non più candidabile. In simili condizioni e contro un centrosinistra prevedibilmente guidato da Matteo Renzi, le chances di vittoria della destra sarebbero quasi nulle. È davvero difficile credere che un personaggio astuto e raziocinante come Berlusconi possa scegliere una soluzione tanto assurda.
E ora passiamo all’ipotesi B. Il Pd o una parte del partito decide di smentire la legge e se stesso e vota per la salvezza del Cavaliere, magari nel segreto della votazione al Senato, con una trentina di franchi tiratori. Chi lo voterebbe più un Pd così? Sarebbe oltretutto il terzo e il più grave dei tradimenti ai propri elettori. Dopo aver giurato solennemente di votare compatti per Romano Prodi presidente e dopo aver negato fino all’ultimo di poter governare con la destra, il Pd si troverebbe a giustificare la più oscena delle giravolte. A quel punto davvero converrebbe alla destra far saltare il tavolo, andare al voto anticipato con Berlusconi leader «agibile» e incassare la catastrofe elettorale dell’avversario.
Mancano pochi giorni alla scoperta del bluff sull’«agibilità politica», termine che non si sentiva dalle assemblee studentesche degli anni Settanta. Uno dei due giocatori ne uscirà per forza sconfessato. Un voto secondo la legge, che costringa Berlusconi a scontare le conseguenze dei propri reati, avrebbe fra gli altri effetti positivi lo sgombero dal tavolo di lavoro governativo dalle questioni personali dell’alleato. Un voto contro la legge, per la salvezza dello statista evasore fiscale, segnerebbe in ogni caso la morte del governo Letta. Se non quella politica, la fine morale, nella coscienza degli italiani. L’archiviazione della retorica delle larghe intese e della responsabilità nazionale sotto la coltre pesante e opaca di un miserabile inciucio.
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