Intervento in frenata

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PARIGI. Grossa frenata politica ieri dei paesi che premono per intervenire in Siria, anche se, nel Mediterraneo orientale, arrivano nuove navi da guerra (un quinto destroyer Usa e prossimamente due navi russe) e 6 nuovi caccia britannici a Cipro. Tutti ormai dicono che bisogna aspettare il rapporto degli ispettori dell’Onu, che andranno via sabato dalla Siria. E il 5 e 6 settembre c’è il G20 a San Pietroburgo, dove tutti i capi di stato e di governo implicati si incontreranno. La retromarcia è anche dovuta all’incomprensione dell’opinione pubblica che, soprattutto negli Usa e in Gran Bretagna, è in maggioranza contro l’intervento. Lo spettro dell’Iraq e degli errori del 2003 inquieta Londra e Washington.
La frenata maggiore è stata quella di David Cameron, costretto a fare marcia indietro: il Labour ha deciso di votare contro la mozione presentata ieri per avere il via libera all’azione da parte della Camera dei Comuni, che sarà quindi solo una prima tappa seguita da un nuovo voto la prossima settimana, dopo la diffusione del rapporto degli ispettori dell’Onu. Cameron ha iniziato la giornata affermando che l’intervento sarebbe «giustificabile» anche senza via libera dell’Onu, per concluderla dicendo che sarebbe «impensabile con un’opposizione schiacciante al Consiglio di sicurezza». Anche perché, dopo aver ribadito di essere convinto della responsabilità del regime siriano nell’attacco chimico del 21 agosto, ha dovuto ammettere di «non averne la certezza al 100%».
Obama, in un’intervista alla tv pubblica Pbs ha affermato di non aver ancora preso una decisione definitiva, che ci vorrà un «approccio su misura» e che gli Usa non vogliono farsi coinvolgere «in un conflitto lungo». Obama ha detto esplicitamente, sollevando reazioni sarcastiche nel campo conservatore, che l’obiettivo non è di far cadere Assad. La Francia è così rimasta un po’ con il cerino in mano e anche Hollande ha dovuto fare qualche passo indietro. Hollande, che ha ricevuto in mattinata il capo della Coalizione nazionale siriana, Ahamad al-Assi al-Jarba, ha sottolineato che ci vuole una «soluzione politica». Il governo francese ammette che «la soluzione militare è difficile da costruire». Per Hollande, ci sarà un’uscita alla crisi «solo se la coalizione dell’opposizione è capace di rappresentare una soluzione politica e se la comunità internazionale è capace di marcare uno stop all’escalation della violenza, di cui il massacro chimico non è che un’illustrazione». Emma Bonino ha incontrato ieri a Parigi Laurent Fabius e poi lo stesso Hollande. «Ci siamo accordati sul fatto che non siamo d’accordo», ha riassunto. «Abbiamo preso atto che siamo su posizioni differenti – ha precisato la ministra degli esteri italiana – non sulla condanna e tanto meno sull’enorme indignazione per quello che è successo, ma abbiamo apprezzamenti diversi sul da fare, in che ambito legale agire». Bonino ha ribadito che «l’Italia non intende partecipare a reazioni militari». Per quanto riguarda le basi, «non ce le ha chieste nessuno ad oggi, i problemi vanno affrontati quando arrivano». Emma Bonino chiede che «chi ha prove le apra a tutti» per permettere di giudicare la situazione.
Stessa prudenza da parte della Germania. Hollande e Merkel si sono sentiti al telefono e la cancelliera ha affermato che bisogna attendere la relazione degli esperti Onu, per trovare «il miglior modo per trarre insegnamenti dal lavoro degli ispettori». La cancelliera ha ricordato che la Germania è pronta ad accogliere 5mila rifugiati siriani e che la Germania ha già versato 340 milioni di euro di aiuti umanitari dal 2012. Merkel ha parlato al telefono anche con Putin e si è stabilito una sorta di asse Berlino-Mosca per attendere i risultati dell’inchiesta Onu. Secondo il riassunto della telefonata fatto dalla presidenza russa, «è stata sottolineata l’importanza dell’esame da parte del Consiglio di sicurezza del rapporto degli ispettori dell’Onu sul presunto uso di armi chimiche in Siria». Il Canada ha fatto sapere ieri sera che non parteciperà all’eventuale coalizione dei volontari.
In Gran Bretagna c’è ormai uno scontro politico sull’eventualità di un intervento. Negli Usa Obama, che non ha espresso l’intenzione di chiedere un voto del Congresso, cerca di limitare l’azione a un atto pressocché simbolico, senza implicare il paese in una nuova guerra. In Francia il mondo politico è molto diviso, con Verdi e Ps a favore dell’intervento, Front de gauche e Fronte nazionale contrari, mentre il centro invita alla prudenza e la destra Ump è divisa (Villepin ricorda il no di Parigi alla guerra in Iraq, il presidente dell’Ump, Jean-François Copé, applaude il bellicismo di Hollande, ma il suo vice, Laurent Wauquiez si chiede che senso abbia un intervento senza progetto politico).


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