Ipotesi clemenza, equilibrio difficile

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Da qui la nota diffusa dal Colle l’altro ieri. A leggerla d’un fiato parrebbe una memoria avvocatesca, con tutto quello zampillar di codici, sentenze, procedure, consuetudini. Ma non è colpa di Napolitano se la lotta politica si è ormai trasformata in disputa giuridica. Lui semmai ne è vittima, e la vittima è costretta a districarsi tra politica e diritto. Come? Giuridicizzando la politica, politicizzando il diritto.
Dopotutto è questo il senso del suo ultimo intervento. Dove anzitutto c’è l’impegno a non sciogliere le Camere, nemmeno se il governo andasse in crisi. Una promessa per fatto altrui, direbbero i giuristi. Perché la prosecuzione della legislatura dipende principalmente dai partiti. Certo, lo scioglimento anticipato è un potere individuale del capo dello Stato. Ma sta di fatto che 10 volte su 11 (l’eccezione fu Scalfaro nel 1994) si è trattato piuttosto di un autoscioglimento, deciso dalle forze politiche e timbrato poi dal Quirinale. D’altronde, che accadrebbe se il Pdl revocasse la fiducia a Letta? O i grillini s’acconciano a formare un governo col Pd (ma loro l’hanno escluso) oppure è la paralisi, lo stallo. Dunque le elezioni, benché Napolitano non le voglia, benché in questi frangenti dovrebbe averne orrore chiunque abbia qualche grammo di sale nella zucca.
Muove da qui il nesso fra la disgrazia dell’Italia e la grazia a Berlusconi. Un male minore per scongiurare il male maggiore, secondo la dottrina di Sant’Agostino. Napolitano si è limitato ad evocarla, senza firmare cambiali. Ha dichiarato che finora Berlusconi non ne ha fatto richiesta, mentre per prassi occorre una domanda dell’interessato. Ha taciuto sugli altri suoi processi in corso, che peraltro allo stato sono irrilevanti, perché vige la presunzione costituzionale di non colpevolezza. Ha ricordato i dettami della Consulta, le competenze del ministro della Giustizia, gli adempimenti processuali che ancora mancano dopo il verdetto della Cassazione. Ma soprattutto ha girato i vincoli giuridici della grazia in altrettanti vincoli politici, in adempimenti pubblici dell’illustre condannato.
Quali? Intanto che richiami all’ordine i suoi cortigiani, quando usano (e li usano) toni sguaiati verso il Colle. Che il Pdl si rimangi la minaccia delle dimissioni collettive dal Parlamento. Che continui lealmente a sostenere l’esecutivo in carica. Che smetta di sferrar cazzotti alla magistratura. Che in conclusione Berlusconi accetti questa sentenza sfavorevole, chiedendo semmai — a voce bassa, e con tutta l’umiltà del caso — un provvedimento di clemenza al capo dello Stato. L’ordinamento giuridico italiano pretende che il condannato si ravveda, per premiarlo con la grazia. Un ravvedimento interiore, spirituale. Ma Berlusconi è un leader politico, e Napolitano s’aspetta perciò da lui anche un ravvedimento politico.


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