La Spd inciampa sulle tasse

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BERLINO. Il programma elettorale del Partito socialdemocratico tedesco (Spd) parla chiaro: «Vogliamo aumentare l’aliquota massima dal 42% al 49% per i redditi superiori ai 100mila euro». Riportandola, cioè, quasi ai livelli nei quali si trovava quando la Germania era governata dal cancelliere democristiano (Cdu) Helmut Kohl (all’epoca era al 52%), prima delle «riforme» fatte proprio da un governo guidato dalla stessa Spd, quello di Gerhard Schröder. Altri tempi: ora l’infatuazione per la «terza via», a quanto pare, sembra passata. Oltre all’intervento sui redditi più alti, infatti, i socialdemocratici si propongono anche di reintrodurre la patrimoniale e di irrobustire la tassa di successione: un pacchetto di politica fiscale mirato – secondo le loro intenzioni – «a unire dinamismo economico e giustizia sociale».
Evidentemente, però, il nuovo corso post-schröderiano non ha veramente convinto tutti, nella Spd. Soddisfatta, naturalmente, è la sinistra interna: «Le proposte del partito ora ci rappresentano pienamente», dichiara a il manifesto Stefan Stache, un dirigente della corrente Forum della sinistra democratica. «Ma un problema rimane: la nostra credibilità di fronte al nostro elettorato popolare, che quattro anni fa ci voltò le spalle», aggiunge. E a dargli puntualmente ragione ci hanno pensato nientemeno che il segretario Sigmar Gabriel e il candidato cancelliere Peer Steinbrück. Entrambi, infatti, hanno negli ultimi tre giorni lanciato messaggi che contraddicono la lettera e lo spirito del programma elettorale.
In breve: secondo il duo che guida il partito, il vero obiettivo della Spd resta sempre e comunque quello di abbassare le tasse. Come ai bei tempi di Schröder, quelli del «riformismo» blairiano in salsa germanica. Lo si potrà fare – hanno argomentato – se la lotta contro l’evasione e l’elusione fiscale darà i suoi frutti. In mancanza di risultati in questo senso, l’aumento della pressione sui più ricchi sarà una sorta di male necessario. Non una cosa giusta in sé per ragioni di equità. Una bella differenza di «visione» politica, come non ha mancato di denunciare pubblicamente, assai irritato, il capolista dei Verdi Jürgen Trittin.
Nella serata di lunedì è giunto – richiesto da più voci – un chiarimento da parte di Gabriel e Steinbrück. E ieri mattina il potenziale alleato di governo Trittin ha dichiarato l’incidente chiuso. Fino a nuove turbolenze, le cose dovrebbero essere tornate al loro posto: «La linea è chiara. Noi aumentiamo alcune tasse per alcuni. Su questo siamo tutti uniti», ha scritto sul suo profilo Facebook il candidato cancelliere della Spd. Che, insieme a Gabriel, ha comunque voluto insistere sulla priorità da dare alla lotta all’evasione e all’elusione, che sottrarrebbero – secondo i calcoli dei socialdemocratici – annualmente circa 160 miliardi alle casse della Germania.
Più precisamente, 30 miliardi mancherebbero all’appello a causa dell’evasione vera e propria, cioè l’illegale mancato pagamento delle imposte dovute. La restante somma, invece, è quella che sfugge al fisco in modo «legale», approfittando di quelle norme che consentono alle grandi imprese di rifugiarsi nei paradisi fiscali, o in Paesi che, senza essere «paradisi», offrano comunque «condizioni più favorevoli». Ed è proprio per recuperare questo denaro che occorre, secondo i leader socialdemocratici, agire soprattutto in sede europea, combattendo il dumping fiscale fra i paesi dell’Ue.
Una volta rientrato in possesso di questi soldi, ha affermato Gabriel, il governo tedesco «avrebbe le risorse per investimenti in educazione e infrastrutture». Ma anche «per abbattere il debito pubblico»: un obiettivo che la Spd è determinata a perseguire, rispettando scrupolosamente – come scrive a chiare lettere nel programma – la norma costituzionale «frena-debito» (Schuldenbremse). Quella stessa che, proprio sull’esempio tedesco, è diventato obbligatorio inserire nelle Costituzioni di ciascuno stato dell’Ue, secondo i trattati comunitari stipulati «per affrontare la crisi»: in Italia è contenuta nell’articolo 81, riformato in gran fretta e quasi all’unanimità dagli obbedienti parlamentari della scorsa legislatura.


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