Le mosse del Cavaliere su Palazzo Chigi agitano la sinistra

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E questo mentre il Pdl canta vittoria, provocando i mugugni e i distinguo di alcuni settori del Pd. La tentazione di mostrare il presidente del Consiglio come strumento nelle mani del centrodestra è così smaccata da far nascere il sospetto che Berlusconi scommetta sulla prospettiva di un’esplosione della sinistra; e che comunque voglia tenere sulla corda il Pd, con l’aria di dettare a Palazzo Chigi un’agenda inevitabilmente indigesta. Lo fa nello stesso giorno in cui viene depositata la sentenza di condanna della Corte di cassazione nei suoi confronti.
Questo gli permette di sventolare l’Imu come trofeo elettorale; e in parallelo di sparare su una sentenza definita «allucinante e fondata sul nulla». È il segno che la crisi di governo si è allontanata, ma non le manovre intorno all’esecutivo e alla maggioranza anomala che lo sostiene.
Le critiche del segretario della Cgil, Susanna Camusso, ai provvedimenti presi nel Consiglio dei ministri di mercoledì, hanno aperto la strada a una serie di distinguo della sinistra nei confronti di Letta. Ha cominciato il viceministro dell’Economia, Stefano Fassina, sminuendo l’abolizione dell’Imu. Il compromesso raggiunto contiene parti giuste «ma insieme parti sbagliate. Dobbiamo dire la verità. Altrimenti non siamo capiti e riconosciuti nella nostra identità alternativa alla stra identità alternativa alla destra».
Per Fassin a, ormai l’aumento dell’Iva dal 1° ottobre sarebbe «irrimediabile». Si tratta di uno smarcamento legittimato dalla vulgata secondo la quale i militanti del Pd sarebbero furiosi per il «cedimento» a Berlusconi. E che fa riemergere quasi di rimbalzo la filiera degli avversari del premier nel suo stesso partito.
Rispunta Matteo Renzi. E no- nostante assicuri di non voler far cadere Letta, il sindaco di Firenze lo attacca frontalmente. Sostiene infatti che il governo dovrebbe essere sempre più «del Pd» mentre invece finora sarebbe stato subalterno al Pdl; che durerà perché «a Berlusconi conviene»; e che comunque «le larghe intese non possono diventare un’ideologia».
Probabilmente sono segni di una frustrazione diffusa e senza sbocchi. Ma non vanno sottovalutati. Si allineano sullo sfondo come una riserva di tensioni pronte a esplodere o a rimanere compresse a seconda della piega che prenderanno i rapporti politici. È come se i partiti alleati avessero fretta di incassare i risultati, magri o meno, raggiunti dal governo; ma poi cedessero all’istinto di prendere le distanze da una coalizione che alcuni settori appoggiano con convinzione, altri nella speranza di un epilogo rapido. Una tesi accredita le divisioni di Pdl e Pd come garanzia di sopravvivenza per Letta. La trama, tuttavia, continua a essere fragile e soggetta all’incrocio fra crisi economica e rapporti politica-magistratura.
I berlusconiani continuano a trattare per rinviare il più possibile il voto della giunta per le elezioni e le immunità del Senato che dovrà decidere sulla decadenza del Cavaliere da parlamentare. E la possibilità che ci riescano cresce. La Commissione europea osserva, preoccupata dalla tenuta del governo. Anche per questo ha «accolto con favore» le assicurazioni di Letta in materia di bilancio, e registrato come «segnale positivo» l’accordo dell’altro ieri.
L’atteggiamento rimane guardingo, però. Tra le righe si avverte la richiesta di garanzie per la copertura finanziaria dei soldi persi con l’abolizione dell’Imu. Si cammina su un crinale sottile, scommettendo su una fiducia e una credibilità che i conflitti continui minacciano di rimettere in discussione.


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